i miei racconti

di Franca Caluzzi

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Li avete visti i bambini quando chiedono ai nonni le storie? Storie che si fanno raccontare tante volte da conoscerle a memoria. Stanno lì a bocca aperta come quando le hanno ascoltate la prima volta ma sono pronti a correggerli se cambiano anche una sola parola.
Mio figlio e mio papà facevano così…  

 

Il nonno racconta …

     “Nonno, come hai fatto a scappare dai tedeschi?”
     “Te l’ho già raccontato…”
     “Raccontamelo ancora”
     “Era il 1943 e io ero prigioniero”
     “Eri in prigione?”
     “Non una vera prigione ma era come se lo fosse, le sentinelle ci puntavano addosso il fucile. E ci volevano portare in Germania”
     “E tu cosa hai fatto?”
     “Mi sono messo la tuta da meccanico sulla divisa”
     “Te l’hanno lasciata mettere?”
     “Sì perché mi facevano lavorare. Avevo anche la borsa dei ferri”
     “E poi?”
     “E poi sono andato alla fontana e l’ho chiusa che non poteva uscire più acqua”
     “E poi?”
     “Ho chiamato un tedesco e gli ho fatto vedere che il rubinetto era rotto”
     “Ci ha creduto?”
     “Sì, ci ha creduto e a gesti mi ha dato il permesso di andare all’altra fontana”
     “Quella vicina al muro di cinta?”
     “Quella”
     “E poi ti sei arrampicato sul muro? E hai fatto un gran salto? E ti hanno sparato?”
     “Lo sai già”
     “Raccontamelo, nonno”
     “Dovevamo essere in tre, ci eravamo messi d’accordo, ma all’ultimo gli altri hanno avuto paura. Io ho aspettato che le due sentinelle mi voltassero la schiena per arrampicarmi sul muro. Era alto sai? Ma ero giovane e pensavo alla tua nonna che se fossi andato in Germania non mi avrebbe più rivisto. Preferivo morire piuttosto. Quando ho fatto il salto ho pregato il Signore che non mi facesse rompere una gamba e Lui mi ha ascoltato. Ho cominciato a correre tra l’erba più forte che potevo. La borsa dei ferri pesava ma non potevo lasciarla,  la tenevo stretta e correvo. Ho sentito gridare in tedesco, gridavano che non capivo ma sapevo che era per me, e poi sparavano. Io correvo a zig zag per non farmi prendere, ho corso tanto che quando sono caduto nell’erba alta non sono più riuscito a rialzarmi. Ma ormai ero lontano”
     “E poi?”
     “E poi ho cercato rifugio dai frati, nell’Abbazia di Montecassino”
     “Ma non era crollata?”
     “Sì, ma più tardi. E’ stata rasa al suolo durante i bombardamenti . Ma allora c’era ancora e i frati hanno accolto tanti fuggiaschi come me che dopo l’8 settembre erano sbandati. Stavamo nei sotterranei dell’abbazia dove c’erano centinaia di orci pieni d’olio” – con le mani il nonno disegna dei grandi vasi panciuti – “e cercavamo di dare una mano ai frati. Loro ci hanno sfamato e salvato la vita. Ma un giorno …”
     “Un giorno?”
     “E’ arrivato un frate, tutto agitato - Ragazzi, dovete andarvene! I tedeschi stanno per fare una perquisizione. Scappate! – E così siamo scappati. Io sono scappato insieme ad un altro e abbiamo camminato, tanto. Abbiamo camminato fino al Tevere”
     “Il fiume di Roma? Ma non era distante?”
     “Era distante ma noi abbiamo camminato per giorni e siamo arrivati al Tevere. E quando siamo arrivati il ponte era presidiato. Su tutti i ponti c’erano sentinelle che sparavano. Abbiamo anche sperato di passare con una barca ma non è stato possibile”
     “E allora, nonno, cosa hai fatto?
     “Siamo tornati indietro. Eravamo stanchi, tanto stanchi, e io pensavo alla nonna che era a Calizzo, e a tuo zio che aveva sei anni allora”
     “Come me?”
     “Come te. Per andare a Calizzo dovevo andare a Bologna e poi a Reggio Emilia, a Castelnuovo, a Villa”
     “Villa Minozzo!”
     “Sì, ma era tanto distante e noi dovevamo tornare indietro”
     “E poi?”
     “C’erano dei manifesti appesi dappertutto, un bando che diceva che se non ci presentavamo in caserma entro quarantottore ci avrebbero fucilato”
     “Voi due?”
     “Non solo noi due, tutti. Eravamo in tanti a scappare. Tanti soldati che cercavano di tornare a casa perché non ci si capiva più niente della guerra e speravano fosse finita”
     “Eri vestito da soldato?”
     “No, avevo la tuta blu. Era pericoloso girare con la divisa. Te l’ho detto, c’era quel bando”
     “Ma tu non sei andato in caserma! Dove sei andato?”
     “Un giorno ti racconterò tutto, ma è lunga e adesso devi dormire”
     “Ma nonno!!! La stazione! Devi raccontarmi della stazione. Raccontami ancora della stazione”
     E il nonno, paziente:
     “Quando siamo arrivati in stazione c’era un gran putiferio. I più tanti erano ancora in divisa, non avevano trovato nient’altro. Salivano sulle vetture che erano piene più del tram la mattina”
     “L’autobus, nonno”
     “Erano tanto piene che scoppiavano e i tedeschi li tiravano fuori. Si arrampicavano sui tetti delle carrozze, su tutti i tetti c’erano soldati aggrappati, e i tedeschi con le baionette li tiravano giù. E loro si arrampicavano ancora. Un putiferio. Non ci guardava nessuno perché avevamo la tuta e io avevo anche la borsa dei ferri. Sembravamo due operai della stazione, la borsa dei ferri mi ha salvato la vita. Io e il mio amico siamo andati tra una carrozza e l’altra, dove non c’è il marciapiede ma solo le pietre. Lì non c’era nessuno”
     “Perché non c’era nessuno?”
     “Perché da quella parte non ci sono le porte. Il treno è tutto chiuso”
     “Se è chiuso come hai fatto a salire?”
     “Dalla parte delle pietre ci sono i finestrini dei gabinetti avvitati dall’esterno” – il nipote trattiene il respiro – “e io mi sono messo in spalla al mio amico perché il finestrino era in alto e dalla parte delle pietre è più basso che di là. Ho svitato le viti, erano otto, e lo ho messe in tasca”
     “E poi?”
     “E poi sono entrato. Il gabinetto era vuoto, chiuso a chiave. Ho tirato su il mio amico e con quattro viti ho rimesso il vetro al suo posto. Siamo rimasti lì e fuori della porta sentivamo gridare, in italiano e in tedesco che non ci capivo niente. Ma io sapevo che ci volevano portare in Germania e stavo lì zitto zitto. Siamo stati zitti finchè il treno è partito e anche dopo, fino a Bologna”
     “E poi sei uscito dal finestrino?”
     “Sì”
     “E poi?”
     “Te lo racconto un’altra volta. Ora dormi. Ti dico solo una cosa: quelle viti lo ho date alla tua mamma. Sono tutte arrugginite e le tiene nella scatola dei ricordi”
     “Mamma! Mamma! Dov’è la scatola dei ricordi?