i miei racconti

di Franca Caluzzi

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Giove Pluvio si è scatenato su tre poveri ciclisti

 

In bici sotto il temporale

31 agosto 2000

    Lo chiamiamo Coca-Cola perché ha sempre una maglietta con su scritto Coca Cola.
    Chicchi invece è Chicchi e basta.
 Coca-Cola, Chicchi e io siamo partiti da Vara in bicicletta felici e sereni. il cielo non l’abbiamo neppure guardato e se non l’abbiamo guardato vuol dire che era un cielo tranquillo che si posava dolcemente sulle colline che io, Chicchi e Coca-Cola andavamo attraversando. A La Carta bene, a Palo anche, a Sassello lo stesso. Nessun segnale ci è arrivato dall’alto.
    Quando c’è Coca-Cola è lui che comanda, che dirige l’orchestra. A Sassello ha ordinato: “prendiamo la strada per Acqui e poi saliamo ai Moretti”. Chicchi e io zitti, dietro.
     La strada per Acqui si snoda dolcemente con curve ampie, in leggera discesa, ma quando arriviamo al bivio per i Moretti si impenna e la musica cambia. Io faccio fatica a stare dietro a Coca-Cola; Chicchi, per quanto ricordo, in un tratto è anche sceso dalla bici e l’ha fatto a piedi.
    Tuoni, fulmini, qualcosa che ci preannunciasse l’arrivo di un temporale non ne abbiamo sentiti. Ma a Cimaferle si è scatenato il diluvio.
    Non è facile rendere l’idea di un temporale furioso che si abbatte su poveri ciclisti in bilico su due ruote, un fuggi-fuggi è impossibile, la strada deserta diventa un fiume. Le poche case sbarrate.
   Chicchi è stato il più furbo. Ha continuato a pedalare. Almeno con la fatica non si è raffreddato. Coca-Cola e io invece ci siamo fermati a bussare ad una casa.
    Mendicanti che chiedevamo l’elemosina. Fuori dal portone neppure una minuscola tettoia. L’acqua ci lavava come l’orto con la manichetta. Lì per lì silenzio. Suoniamo di nuovo, le imposte sono aperte, dentro c’è qualcuno. Poi quel qualcuno si trascina stancamente giù dalla scala e ci apre. Una donna. Sospettosa, con lo sguardo grifagno, sta per chiuderci la porta sul muso. Io infilo la punta delle mie scarpe con le tacchette oltre il battente e la supplico. “Ci dia almeno un riparo”.
   Io non so se a Cimaferle siano tutti così, spero di no, ma la padrona di casa ci fa accomodare appena oltre l’uscio con l’ordine di stare fermi lì. Avevamo già bagnato abbastanza.
   La casa è di quelle che hanno le stanze tutte in fila sul corridoio, da una parte e dall’altra, e in fondo al corridoio c’è una scala. Coca-Cola e io siamo rimasti all’inizio del corridoio, subito dietro al portone, per un bel po’, da soli, a lasciare che ai nostri piedi si formasse un bel lago. Un asciugamano che sia un asciugamano non ci è stato offerto. Tremavo. Allora mi sono fatta coraggio e ho chiamato la signora dal volto grifa- gno. Le ho chiesto se potevamo fare una telefonata, breve breve, per chiedere che ci venissero a prendere. Soldi in tasca non ne avevo e Coca-Cola nemmeno. Ho insistito un po’. L’ho anche supplicata. Nella sua testa immagino si sia combattuta una battaglia sofferta ma, alla fine, raccomandandomi di fare prestissimo, mi ha fatto salire la scala fino al telefono appeso al muro.
   Tremanti di freddo, nel temporale che si stava allontanando, eravamo risaliti sulle bici che ci avevano aspettato sotto la furia del diluvio e pedalato incontro ai soccorritori in arrivo. La coda del temporale non ci voleva abbandonare ma la pioggia era diventata stanca, mi lasciava vedere la strada oltre gli occhiali.
   Non era stato facile per loro, Nino e Gianni, far stare in due macchine cinque persone e tre bici. Ma alla fine c’erano riusciti e Coca-Cola, Chicchi, io, i soccorritori e le bici aggrovigliate avevamo potuto tornare sani e salvi all’ovile.