Quando la curiosità diventa pura stupidità ...
L’ascensore di Piazza Dante
1965
Per salire e scendere usiamo tutti l’ascensore. Venti piani da fare a piedi sono troppi.
Siccome il grattacielo è alto gli ascensori sono più di uno. C’è anche un montacarichi enorme che oltre alle porte davanti che sono automatiche ha un’uscita posteriore formata da due paratie che si aprono e si chiudono in verticale, con un anello su ciascuna delle due metà che combaciano e sono chiuse da un lucchetto.
Non le ho mai viste aperte.
A piano terra c’è uno sgabuzzino occupato dal portinaio che, oltre alle altre incombenze, ha il compito di controllare il buon funzionamento degli ascensori.
Qualche volta usiamo gli ascensori, qualche volta il montacarichi. Dipende da quanti siamo e dal primo che arriva. Da sola non mi era mai capitato di usarli anche perché la maggior parte di noi arriva all’ultimo minuto per timbrare il cartellino appena in tempo prima che segni rosso e ci mettiamo in coda tutti insieme all’ora di uscita. Però mi è capitato, una volta che sono dovuta uscire per non so quale motivo a metà pomeriggio, di aver preso il montacarichi da sola.
Sono entrata al ventesimo piano, o al diciannovesimo perché la ditta Costa occupa più piani nel grattacielo, non ricordo bene questo particolare ma tanto non ha importanza. Entro e sono sola. Il montacarichi tutto per me. Schiaccio il bottone del piano terra e il montacarichi obbedisce docile al mio comando. Sul fondo noto che le due metà sono sì accostate ma il lucchetto che blocca i due anelli, quello della parte bassa e quello della parte alta, non c’è.
Quasi quasi provo a vedere cosa succede se allontano fra loro i due anelli.
Non ricordo se ho usato semplicemente le dita oppure qualche strumento, tipo le chiavi o la biro, però so che
senza nessuno sforzo i due anelli si sono allontanati fra
loro di qualche centimetro. Quando ho avuto la felice idea
sarò stata intorno al sedicesimo o quindicesimo piano.
Subito dopo è successo il finimondo. Il montacarichi ha
accelerato vertiginosamente, precipitava e io ero sola lì dentro, al buio e con la sirena. Ho pensato che non si fermasse
più, che si schiantasse insieme a me. Siccome è successo che
ero ancora in alto ho avuto il tempo di formulare il pensiero
con calma. Non potevo fare niente, assolutamente niente.
Poi ha cominciato a rallentare ma quando è arrivato a piano
terra andava ancora così veloce che mi sono ritrovata schiacciata per terra, senza fiato e senza essere capace di rialzarmi da
sola. La porte non si aprivano. Ero lì dentro al buio.
Sentivo gridare da fuori, dare degli ordini.
Non so quanto è passato prima che il montacarichi venisse portato a livello e le
porte si potessero aprire. Le luci si sono riaccese, le porte si sono
spalancate, si è affacciato il portinaio, è arrivata altra gente. Mi
hanno rimessa in piedi.
Il portinaio in allarme non capiva che
cosa potesse essere successo e io me ne sono ben guardata dal
dirglielo. Se lui ha creduto fosse stata colpa sua perché si era
dimenticato di mettere il lucchetto gliel’ho lasciato credere. |