i miei racconti

di Franca Caluzzi

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Non avevo nemmeno fatto in tempo a ricordare con gioia il mio battesimo dell’aria che una tragedia si era compiuta

 

L’elicottero e la Madonna di Cima del Pozzo

1994

     "Non ha mai paura?" avevo chiesto al pilota mentre prendevo posto sull'elicottero. "E' facile come guidare l'auto" mi aveva risposto. Era successo un mese prima, quando avevano portato sul monte i mattoni e il cemento per costruire il rifugio.
     L'idea del rifugio era nata da quattro valligiani dell'Orba, uno di loro si chiamava Arturo, che volevano una Madonna che "guardasse" la loro valle perché tutte le altre, sull'Argentea, sulla Rocca Vaccaria e anche sul Reixa, erano rivolte al mare. Una Madonnina di legno a Cima del Pozzo e un riparo per fermarsi a pregare.
     L'elicottero saliva con un fagotto appeso e scendeva col cestello che penzolava, pochi minuti ogni viaggio. Io non avevo mai volato e mi ero fatta coraggio "Mi piacerebbe. Si può?". Eravamo in tanti a guardare, un girotondo sul bordo del prato. Quando mi avevano risposto di sì, sei persone per viaggio dopo aver finito il lavoro, cinquantamila lire a testa, c'era stato fermento. Stefano era arrivato di corsa, affannato, con una torma di ragazzetti che gridavano "anche io, anche io". Erano scesi da Cima del Pozzo dove avevano appreso la notizia dal secondo pilota, a rotta di collo giù per la mulattiera. "Cinquantamila, presto, cinquantamila. No, centomila, anche per lui" e spingeva avanti l'amico per farmelo vedere, a garanzia che il papà avrebbe pagato, "ti prego".
     Si erano formati tanti gruppi da sei e il mio era partito tra i primi. Mi era sembrato di sfiorare le cime dei faggi. Avevo visto il paese e il bosco e il lago. Bello, come Icaro avrebbe voluto. Le pale dell'elicottero invece delle ali di cera ma per il resto poteva essere uguale. Con quel gruppetto di scalmanati invece il pilota aveva voluto giocare. Era salito a sfiorare il crinale poi era sceso radente fino alla COOP di Arenzano e dal mare era tornato lassù, mille metri più in alto, mentre l'erba arsa dal sole correva vicina ai loro occhi sbarrati.

     Penso davvero che sia stato il verricello. Anche quando portava i mattoni c'era sempre quel cavo che penzolava. Salendo il carico lo teneva ben teso ma in discesa oscillava, andava su e giù. Ai Piani di Praglia la fune dondolava. Forse ha oscillato un poco di più e ha agganciato i cavi dell'alta tensione. Sono precipitati così, per colpa del verricello e di quei cavi diventati una trappola.
     Io spero che non abbiano avuto paura. Li voglio ricordare col sorriso. Come quando avevo domandato al primo pilota se aveva paura e lui aveva risposto di no. Come quando Stefano lassù a Cima del Pozzo aveva chiesto al secondo pilota, che sganciava i cestelli col carico: "vi pagano anche?". E poi sul prato, quando i ragazzetti appena scesi dall'elicottero dopo il giro mozzafiato prendevano fiato allargando il torace, facevano "fiùùù" per lo scampato pericolo e si asciugavano col dorso della mano un immaginario sudore alla fronte. Ridevano, allora.