i miei racconti

di Franca Caluzzi

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Tète de l’Homme e Tète de la Frema

 

18 e 19 agosto 1994

   Tète de l’Homme e Tete de la Frema, due nomi che sembrano andare a braccetto. Ma quando Stefano aveva aperto la guida e l’aveva letta riga per riga e ci aveva cambiato le carte in tavola, Tète de l’Homme invece che Tète de la Frema, mi si erano rizzati i capelli. Conoscendolo. Ma no, insisteva, è la stessa cosa. Andiamo al lago dei Nove Colori e facciamo la Tète de l’Homme. E’ subito lì.
   Era l’agosto del 1994. Pantani aveva fatto terzo al Tour de France e la Sampdoria era reduce dalla vittoria in Coppa Italia e da un gran terzo posto in campionato.
   Eravamo arrivati la sera prima e, percorsa la bellissima Val Maira, da Chiappera avevamo raggiunto il rifugio Stroppia. Una bella casetta tutta per noi. Non mi era ancora successo di avee a disposizione un intero rifugio e di solito eravamo accalcati come acciughe. Quella sera no, eravamo soli, e avevamo dovuto arrangiarci a far qualcosa per cena perché mancava l’acqua.
   La sera, dai rifugi, il panorama è di una suggestione unica. Quanto ai nomi non c’è da fidarsi tanto, nascono e cambiano nel tempo magari perché uno lo pronuncia in modo un po’ diverso. Per esempio il lago dei Nove Colori forse non si chiama così perché ha tutti quei colori, ma al di sopra delle sue rive la roccia è incisa da nove “couloirs”. E cioè da nove canaloni. Ma qui siamo al confine tra Italia e Francia e queste cose possono succedere. Comunque, colori o “couloirs”, il lago è bellissimo e il bivacco Barenghi, minuscolo, riposa sulle sue sponde.
   Stefano leggeva la guida e ci guidava, un passo avanti e due indietro perché franava, sul ripidissimo conoide di sfasciumi che porta al crinale. Da lì, a pochi metri, la Tète de l’Homme si era fatta beffe di noi.
    Non un punto saldo, un sasso fermo dove poter mettere la mano, una roccia di cui fidarsi, e sotto i piedi una frana inarrestabile di minuscoli detriti grigi che scivolavano a valle rischiando di farci precipitare. O la guida era sbagliata o Stefano l’aveva letta male. La Tète de l’Homme ci aveva respinti e costretti a indietreggiare trattenendo il fiato, a ridiscendere i ghiaioni verticali centimetro dopo centimetro e poi, finalmente, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, ritornare al lago, risalire al colle della Gippiera e raggiungere la meta per la quale eravamo partiti. Tète de la Frema, in occitano femmina, donna.
    Questo ci ha insegnato che le signore, in montagna, sono più gentili degli uomini, si fanno conquistare con più facilità. E quando sono alte, 3142 metri come la Tète de la Frema, sono ugualmente belle.