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Foto Ortigara 8 agosto 2023
Stefano, Chiara, Alessandro

Settimana di vacanza ad Asiago sull’Altopiano dei Sette Comuni, splendido plateau delle prealpi venete dove storia e natura creano un legame indissolubile. La cima più conosciuta e frequentata è senza dubbio l’Ortigara, montagna simbolo del sacrificio degli alpini: fu teatro della grande battaglia che l’esercito italiano scatenò il 10 giugno 1917 per la riconquista di una linea difensiva più favorevole sul ciglio settentrionale dell’altopiano, dopo la perdita della fortissima posizione di Cima Portule subita l’anno precedente con l’offensiva austriaca nel Trentino.
Per raggiungere la partenza della gita abbiamo dovuto percorrere in macchina la strada ex militare che dal Rifugio Campomuletto sopra Gallio conduce al Piazzale Lozze. Sono 8 km di sterrata in condizioni pessime ed è solo grazie alla Panda se siamo riusciti ad arrivare a destinazione.
Lasciata l’auto presso il bivio di quota 1712 (ore 9.40), ci incamminiamo lungo la rotabile attraverso l’amena conca pascoliva di Busa Saline circondata da boschi di larice e di abete rosso. Al tempo dell’offensiva era questo uno dei punti di raccolta dei rincalzi che attendevano l’entrata in linea. Qui giungeva micidiale il tiro d’interdizione dell’artiglieria nemica che ostacolava e rendeva penoso il movimento delle truppe e il trasporto dei rifornimenti: ancora oggi il terreno risulta disseminato di buche e di crateri di granate.
Al Piazzale Lozze (m. 1771) inizia la mulattiera che sale tra gli abeti fino alla Chiesetta del Lozze (m. 1890), costruita dagli alpini del battaglione Verona subito dopo la battaglia. Poco sopra la chiesetta, si scavalca il costone che scende da Cima Caldiera e dal quale si ha una visione d’insieme del vasto teatro di guerra dell’Ortigara. Il sentiero - segnato con bandierine tricolori - procede con saliscendi tra pini mughi e lastroni di rocce che spesso fanno da marciapiede. Arriviamo così al Baito Ortigara (m. 1937) posto al centro del vallone dell’Agnellizza: in alto alla nostra destra sta la Cima Caldiera, ai tempi tenuta dagli Italiani; alla nostra sinistra l’Ortigara, saldamente in mano austriaca.
Per andare all’assalto gli alpini dovevano discendere i fianchi della Caldiera, attraversare allo scoperto il vallone e risalire dalla parte opposta l’aspro pendio dell’Ortigara: il tutto sotto il tiro violentissimo delle cannonate, il fuoco incrociato di un gran numero di mitragliatrici nascoste in caverna e i reticolati in gran parte intatti. Il 19 giugno la vetta dell’Ortigara venne presa da più lati ma gli alpini vi arrivarono talmente stremati da non riuscire a compiere ulteriori progressi in direzione del Portule, vero obiettivo dell’offensiva. La cima era spoglia, priva di risorse idriche, difficile da difendere ed esposta continuamente al tiro di repressione delle artiglierie nemiche. I generali italiani, presi dal dubbio che un ritorno alle trincee di partenza potesse apparire ingiustificato, scelsero di lasciare le truppe sulle precarie posizioni appena conquistate. Passarono alcuni giorni e il 25 giugno, alle 2.30 di notte, un violentissimo e fulmineo contrattacco austro-ungarico condotto con lanciafiamme e bombe a mano investì la cima annientando il presidio italiano. Alle 4.40, ben due ore dopo il contrattacco, il generale Di Giorgio inviava un fonogramma al comando di divisione in cui affermava: “Alpino Arroscia giunge questo momento da settore sinistra. Racconta che tratti di linea Arroscia investiti da lanciafiamme avrebbero ceduto. Stop. Scorgesi combattimento fiammelle fucileria ridottino Ponari. Occorre concentrare tiri interdizione rovescio ridottino Ponari. Stop. Telefono con codesto comando interrotto. Generale Di Giorgio”. Ai pochi soldati italiani rimasti in vita, impossibilitati a ritirarsi e a comunicare con le retrovie a causa del fuoco di sbarramento sul vallone dell'Agnellizza, altro non restò che la resa. I sanguinosi e velleitari tentativi di riprendere l’Ortigara fallirono, fino a quando il 29 giugno i comandi ordinarono finalmente la fine dell’offensiva: si trattò nella sostanza di un grave insuccesso tattico e strategico che costò agli alpini perdite spaventose.
Noi ci lasciamo il Baito alle spalle e saliamo lungo il Coston dei Ponari arrivando così alla trincea di massima resistenza austroungarica. Alessandro è elettrizzato e ispeziona minuziosamente i ricoveri in caverna e le postazioni per mitragliatrici scavate nella roccia viva con le perforatrici e a colpi di mina. Alle 12.20 raggiungiamo la sommità del monte (m. 2105) dove nel 1920 la neonata Associazione Nazionale Alpini eresse la colonna mozza a ricordo dei tragici avvenimenti. Successivamente procediamo in leggera discesa verso nord andando a toccare il cippo austriaco (m. 2086) dal quale si gode una vista magnifica e vertiginosa sul fondo della Valsugana, ben 1700 metri più in basso di noi.
Al ritorno seguiamo il sentiero che scende ripidissimo giù per le balze che si tuffano verso il Passo dell’Agnella (m. 1990). Il pendio dirupato e il baratro della Valsugana inquietano Chiara che preferisce tornare al Baito per lo stesso percorso dell’andata. Io e Alessandro invece proseguiamo. Circa a metà discesa transitiamo all’interno di una galleria dove occorre tenersi ben saldi alle funi d’acciaio dal momento che il fondo risulta sempre bagnato ed estremamente viscido; soprattutto bisogna prestare attenzione all’uscita, dove una passerella di legno scavalca un profondo pozzo. Al Passo dell’Agnella voltiamo a destra e in breve - per il vallone dell’Agnellizza - facciamo ritorno al Baito Ortigara dove ci ricongiungiamo con Chiara.
Il sole va e viene tra le nuvole, l’aria è fresca e si cammina assai bene senza sudare. Alle 15.10 siamo dalla macchina: la gita è stata bellissima ma io non posso ancora rilassarmi; lo farò solo quando arriveremo con l’auto a Campomulo, al termine del lunghissimo e spossante tratto di sterrato nel quale occorre procedere veramente a passo d’uomo e fare continuamente attenzione a dove si mettono le ruote

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