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23 agosto 2016 Punta Nera da Bardonecchia
21 agosto 2008 Thabor dal Rifugio Re Magi (Valle Stretta)
21 agosto 1997 Thabor dal Rifugio Re Magi (Valle Stretta)

23 agosto 2016 - PUNTA NERA da Bardonecchia

Stefano

Durante un breve soggiorno a Bardonecchia con Chiara e Alessandro ho fatto una bella escursione alla Punta Nera, l'imponente montagna che domina da nord il paese innalzandosi tra i valloni della Rho e del Frejus.
La mattina della gita il tempo è splendido. Molto gentilmente, all'Hotel Bucaneve presso il quale alloggiamo, mi danno la colazione e il pranzo al sacco ben prima degli orari previsti e poco dopo le sette sono già pronto per uscire. Potrei partire a piedi direttamente dall'albergo ma non conoscendo bene le strade ho paura di non trovare l’imbocco dell’antica mulattiera che sale alle Grange della Rho; così, passando per Via Modane e poi per Via Pra de la Cumbe, raggiungo con la macchina l’inizio della sterrata ex-militare che porta alla Caserma del Pian del Morti (m. 1485, 2 km circa sopra il centro di Bardonecchia).
Alle 7.45 mi metto in cammino. Percorrendo in parte la rotabile e in parte la ripida mulattiera che ne taglia i tornanti (segni bianco-rossi), arrivo in breve a un piccolo nucleo di baite (Grange la Rho, m. 1686) poste ai margini di ampie distese pascolive.
Abbandonata la rotabile militare, seguo ora una stradina sterrata che si inoltra nel vallone in uno splendido scenario montano e che, dopo la Cappella della Madonna di Montserrat (m. 1756), scende tra i larici fino a terminare sulle sponde ghiaiose del Rio della Rho.
Dalla parte opposta del torrente inizia un’ampia mulattiera che rimonta con decisione il fianco destro orografico della valle e che, dopo un tratto reso un po' disagevole dal fondo sassoso, raggiunge un pittoresco anfiteatro sormontato da una muraglia di cime rocciose dal tipico aspetto dolomitico: è questo il Gruppo dei Re Magi, con cime che superano abbondantemente i tremila metri e che separano il Vallone della Rho dalla Valle Stretta; quest’ultima, ora francese, costituiva fino al 1947 l’estremo lembo occidentale del territorio nazionale.
In alto sulla destra, a ridosso di un dente roccioso, sorge la difensiva del Pian dei Morti. Costruita nel 1937 unitamente a una decina di centri e di postazioni di resistenza perfettamente occultati, sbarrava il vallone che costituiva una delle quattro possibili vie di invasione della piazza militare di Bardonecchia. Venne edificata in posizione piuttosto arretrata rispetto alla linea di spartiacque poiché il vasto anfiteatro soprastante - il Pian dei Morti - non offriva zone sufficientemente riparate.
A proposito del Pian dei Morti (m. 2290), sembra che il suo nome sia legato a un fatto storico accaduto nel lontano 1562, durante la prima delle otto guerre di religione tra cattolici e protestanti che insanguinarono la Francia nella seconda metà del XVI secolo e che non risparmiarono neppure l’alta Val di Susa e il Brianzonese. “Riorganizzate le forze, i protestanti, con millecinquecento uomini (secondo altri duemila) provenienti da Pragelato, tentano l’assalto di Briançon ma sono respinti. Attraverso il Colle della Scala si portano a Bardonecchia mettendo a fuoco il borgo e occupando il sovrastante castello consortile. La Cazette (capitano delle truppe cattoliche, n.d.r.), ricevuti rinforzi e disponendo di millecinquecento uomini, con una marcia notturna varca il Colle della Scala e affronta vittoriosamente gli avversari. Circa quattrocento protestanti rimangono sul terreno; un migliaio si disperde sulle montagne salvandosi con la fuga verso Rochemolles; poco più di un centinaio si rifugiano nel castello da cui vengono stanati col fuoco e passati a fil di spada. Alcuni valdesi scampati al massacro cercarono di rifugiarsi in Savoia passando per il Colle della Rho. Inseguiti, furono uccisi nella zona che prese il nome di Pian dei Morti. Non vi è al riguardo alcuna conferma” (fonte: “bardonecchiasantippolito.blogspot.it”).
Seguo l'ampia e comoda mulattiera che attraversa tutto il grande ripiano pascolivo fino a che, quasi in vista del Colle della Rho, svolto a destra su di una traccia poco evidente (il bivio è segnalato soltanto con un ometto di pietre). In breve la traccia si trasforma in un sentiero ben marcato - ma non segnato - che risale a svolte un ripido pendio prativo, scavalca il costone meridionale del Roc de Jany e prosegue a mezzacosta, poco sotto il crinale di spartiacque, in direzione dell’imponente versante sud-occidentale della Punta Nera.
Si entra quindi nella zona dei detriti fino a ritrovarsi, poco più in alto, nel mezzo di un gigantesco mare di sfasciumi. Il sentiero, qui segnato con dei bolli di vernice rossa, rimonta con un faticoso zig-zag l’erto pendio fino a raggiungere il colletto (spartiacque Dora Riparia-Arc, confine Italia-Francia) posto tra la cima sud della Punta Nera (o semplicemente Punta Nera) e la cima nord (chiamata anche quota 3047), di sei metri più alta. Svolto a sinistra e salgo per prima la cima nord segnalata soltanto da un paletto colorato dell’Istituto Geografico Nazionale francese (I.G.N.).
Il panorama è spettacolare e, complice il cielo terso, la vista può spaziare fino a grande distanza in ogni direzione. Non voglio ora avventurarmi in disquisizioni geografiche né cercare di dare un nome a monti che non conosco. Mi limito a osservare che, forse per la prima volta in una gita, riesco finalmente a vedere nitidamente il Bianco; per me è sempre stato un oggetto un po’ misterioso considerato che dall'Appennino Ligure e dal cuneese, le zone che abitualmente frequento, non è mai visibile.
Dalla quota 3047 torno giù al colletto e in pochi minuti raggiungo anche la Punta Nera (m. 3141), che offre un magnifico colpo d’occhio sulla conca di Bardonecchia e sulla quale si trova una grande croce di ferro ancorata con dei cavi. Non lontano, sopra la testata della Valle Stretta, spicca l’inconfondibile giallo ocra che caratterizza le balze sommitali del Monte Thabor.
Al ritorno seguo lo stesso sentiero di salita fino al termine della zona degli sfasciumi; poi, invece di piegare a destra in direzione del Pian dei Morti, proseguo dritto su tracce di sentiero lungo la linea della massima pendenza nel Vallone di Rebour, facendo ben attenzione ai grovigli di filo spinato e ai paletti a coda di porco che spuntano all’improvviso dal terreno e che non si vedono fino all’ultimo. Dopo aver quasi calpestato due proiettili di mortaio quindici giorni fa, non vorrei ora finire miseramente impigliato in un reticolato!
Il sentiero procede sempre in forte discesa sopra il dorso di un costone tra pascoli d'alta quota e raggiunge la rotabile militare poco a monte di una galleria. Risalgo la sterrata per alcune centinaia di metri e poi, ormai in vista della caserma, mi butto di nuovo giù per i prati fino a ricongiungermi con la mulattiera dell’andata.
Le Grange della Rho sono ancora lontane e la stanchezza comincia a farsi sentire. Inoltre, dopo alcuni giorni freschi e perturbati, è tornato improvvisamente il gran caldo. Alle grange mi fermo presso una bella fontana intagliata nel legno dove mi rinfresco e bevo in abbondanza; il cartello “ATTENZIONE: ACQUA NON CONTROLLATA” nulla può contro la mia sete feroce.
Ancora un ultimo tratto di discesa e per le 12.30 faccio ritorno alla macchina. Arrivo in albergo giusto in tempo per l’ora del pranzo ma questo purtroppo non l’avevo calcolato; un vero peccato perché il buffet è ricco e il menù invitante. Salgo in camera, tiro fuori dallo zaino il sacchetto con i panini che mi sono fatto preparare e mi metto a mangiare. Pazienza. Del resto la gita è stata bellissima.


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