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20 luglio 2024 Caserma del Malamot dalla Diga del Moncenisio
14 luglio 2024 Caserme del Giaset del Malamot dalla Gran Croce (Diga del Moncenisio)
20 giugno 2017 Rocciamelone da La Riposa (Val di Susa)
9-10 agosto 1999 Rocciamelone da La Riposa (Val di Susa)

20 luglio 2024 - CASERMA DEL MALAMOT dalla Diga del Moncenisio

Stefano, Roberto

Sono tornato al Moncenisio - questa volta in compagnia di Roberto - per completare la gita della scorsa settimana. Anziché partire dai ruderi della Gran Croce, raggiungiamo in macchina la diga e ne attraversiamo l’imponente coronamento su di una sterrata assai polverosa; quindi parcheggiamo poco oltre il bivio del Forte Varisello (m. 1979) e alle 8.30 ci mettiamo in cammino.
Invece di seguire la dolce ma tortuosa carrozzabile militare optiamo per il sentiero - ripido ma decisamente più breve - che sale diretto tagliando tutti i tornanti e che ci permette di guadagnare quota con grande rapidità. Dopo una breve pausa alle caserme del Giaset (m. 2634), riprendiamo la marcia di buona lena tagliando anche qui, per pietraie e rocce levigate, i tornanti della rotabile che nell’ultimissimo tratto risulta ancora coperta da alcuni nevai.
Alle 10.40 siamo di fronte all’antica caserma ottocentesca del Malamot (m. 2914, anno di costruzione 1889).
Il paesaggio è grandioso e rapisce lo sguardo: sopra il Lago Bianco si erge massiccia la Cima di Bard mentre più lontano, al di là del Colle dei Laghi Giaset, svettano taglienti e affilati i Tre Denti d’Ambin. Dalla fortezza, che poteva ospitare un presidio di duecento soldati, saliamo poi per una ripida scalinata alla torretta del Malamot dove è situato l'osservatorio dentro una cupola blindata. La giornata è splendida e calda: è un caldo non oppressivo ma asciutto e gradevole, tant’è che si suda pochissimo.
Al ritorno compiamo una variante: inizialmente su tracce di sentiero e poi attraverso un dedalo apparentemente inestricabile di roccioni, scendiamo a vista verso il Lago Bianco fino a toccarne la sponda occidentale (m. 2638). Quindi, per una breve e comoda mulattiera militare, chiudiamo il breve anello riportandoci alle caserme del Giaset.
Infine, al termine di una veloce discesa, sotto il poggio roccioso del Forte Varisello concludiamo soddisfatti la nostra camminata (ore 13.30). I posti sono bellissimi e per noi ancora in massima parte sconosciuti. Tutta la zona del Moncenisio con le sue adiacenze offre infatti svariati percorsi escursionistici. Non ci resta che studiare qualche altra gita e - prima o poi, quando possibile - tornare qui.


14 luglio 2024 - CASERME DEL GIASET DEL MALAMOT dalla Gran Croce (Diga del Moncenisio)

Stefano, Alessandro

Gita con Alessandro in un luogo assolutamente nuovo per noi: oggi siamo andati alla Diga del Moncenisio presso l’omonimo valico che separa le Alpi Cozie dalle Alpi Graie.
Con la cessione nel 1860 - da parte di Cavour - della Savoia alla Francia, il Colle del Moncenisio divenne la nuova linea di frontiera del neonato Regno d’Italia e si avvertì subito l’esigenza di sbarrarlo efficacemente per proteggere la Val di Susa, Torino e la Pianura Padana. Tra il 1874 e il 1880 venne quindi realizzata la Piazza Militare del Moncenisio con i forti Varisello, Cassa e Roncia, ai quali si aggiunsero successivamente la Batteria Pattacroce e la Caserma del Malamot. Quest’ultima fu edificata nel 1889 in prossimità della vetta del Malamot a 2914 metri di quota e a servizio della caserma fu tracciata la strada militare “Bivio Varisello-Giaset-Malamot” lunga 8.700 metri. Negli anni trenta vennero inoltre costruite numerose e moderne opere in calcestruzzo e in caverna. Nel giugno 1940 il settore del Moncenisio fu coinvolto nella Battaglia delle Alpi Occidentali e ulteriori episodi bellici avvennero anche tra il 1944 e il 1945. Infine, con l’arretramento del confine avvenuto nel 1947 in forza deltutta la conca del Moncenisio a sud del valico (con le strutture militari, il vecchio invaso artificiale e il grande ospizio) passò in territorio francese.
Lasciamo la macchina presso la borgata “fantasma” della Gran Croce (m. 1880, ore 7) sotto l’imponente diga costruita dalla EDF (Électricité de France) nel 1968. La Gran Croce era una frazione del Comune di Moncenisio nella provincia di Torino e, pur trovandosi nel versante sud delle Alpi, nel 1947 venne annessa alla Francia. Con la costruzione della nuova diga fu progressivamente abbandonata per poi divenire definitivamente disabitata nel 1986.
Dai ruderi della Gran Croce seguiamo la sterrata che sale fin sopra lo sbarramento della diga. Ignoriamo la deviazione a destra per il Forte Varisello e imbocchiamo a sinistra la strada militare del Malamot. La giornata si preannuncia splendida con cielo terso, temperatura di 12 gradi e un venticello freddo da nord che ci costringe inizialmente a indossare giacca a vento, berretto di lana e anche una fascia di pile sulla bocca.
La rotabile prende subito quota innalzandosi con una serie di tornanti tra gli ultimi i rododendri in fiore e raggiungendo più in alto un bel pianoro. Da qui - alternando tratti di sentiero ad altri di carrozzabile – giungiamo al grande anfiteatro dove si trovano gli antichi ricoveri militari del Giaset (m. 2630, ore 10.20). La caserma del Malamot è ora perfettamente visibile - circa trecento metri sopra di noi - e per raggiungerla occorrerebbe più o meno un’altra oretta di cammino. Alessandro però è stanco e non me la sento di insistere né di forzarlo: decidiamo allora di fermarci qui. Il posto è molto suggestivo e Alessandro inizia subito un’ispezione accurata delle tre caserme alla ricerca di cimeli storici: torna allegro e trionfante portando tra le mani ciò che resta di un tubo di stufa completamente divorato dalla ruggine. “E’ del tempo della guerra?” domanda eccitato. “Altro che guerra, questo pezzo di tubo sarà dei tempi di Crispi!” gli rispondo. “Chi era Crispi?”.
Dopo uno spuntino sostanzioso e una pausa prolungata, prendiamo la via del ritorno; questa volta sfruttando inizialmente i numerosi nevai e seguendo poi il sentiero che taglia tutti i tornanti della “militare”. In tal modo la discesa si rivela abbastanza rapida e meno faticosa del previsto, con il grande lago del Moncenisio - splendido nel suo colore verde smeraldo - che monopolizza ininterrottamente il panorama. L’apparire del Forte Varisello - il più grande dei tre forti e centro del Comando della Piazza - prelude alla conclusione della gita: la Gran Croce è laggiù al centro del grande prato adibito a pascolo e alle 13.40, sotto un sole sfolgorante, facciamo ritorno alla macchina. Abbiamo camminato per quasi sei ore. Alessandro è molto soddisfatto, e io pure: anche se non abbiamo raggiunto la cima, è stata ugualmente una gran bella gita.


20 giugno 2017 - M. ROCCIAMELONE da La Riposa (Val di Susa)

Stefano, Roberto

Da Susa al Rocciamelone vi è uno sbalzo verticale di tremila metri in soli quattro chilometri di linea d’aria. Gli amanti delle imprese stratosferiche possono farsela tutta a piedi direttamente dal fondovalle, lungo le antiche mulattiere che convergono a La Riposa. Per chi invece, come me e Roberto, vuole “semplicemente” fare una gita sul Rocciamelone, la partenza è fissata a quota 2070 presso la partenza della teleferica di servizio al Rifugio Ca’ d’Asti. Non che arrivarci con la macchina sia proprio uno scherzo; gli ultimi quattro chilometri di sterrato sono probabilmente la penitenza che gli escursionisti fannulloni come noi, che pretendono di andare sul Rocciamelone facendosi solo 1500 metri di dislivello, devono scontare. Lo sterrato è perfetto, un biliardo, continuamente livellato da una ruspa che fa su e giù tutto il giorno; peccato solo che ogni cinquanta metri ci sia una canaletta trasversale. Chi ha a cuore la propria auto e la convergenza delle ruote deve fermarsi ogni volta, inserire la prima e ripartire. Quante canalette ci siano non lo so, sarebbe stato curioso e anche un po’ autistico contarle. Al mattino il sole negli occhi ti impedisce di vederle fino all’ultimo mentre al ritorno la stanchezza e la voglia di far presto hanno pressappoco lo stesso effetto del sole negli occhi. Per non parlare poi del polverone che ti costringe a tenere i finestrini ermeticamente chiusi anche quando dentro si cuoce. Parere personale: fosse per me, una bella colata d’asfalto e non se ne parlerebbe più.
Detto ciò, alle 8.15 ci mettiamo in cammino. Il sentiero parte subito bello ripido e non potrebbe essere altrimenti visto che da qui alla vetta sono solo sei chilometri lineari di percorso; comunque è pur vero il detto “sentiero che pende sentiero che rende”; e infatti alle 9.40, senza dannarci più di tanto, siamo già al Rifugio Ca’ d’Asti (m. 2854). Qui contavamo di trovare un po’ d’acqua e invece niente; il rifugio è ancora chiuso e all’esterno non vi sono né fonti né fontane: il mio mezzo litro dovrò gestirlo con molta parsimonia.
Dopo il Cà d’Asti l’ambiente muta sensibilmente e dai ripidi pendii erbosi si passa al regno degli sfasciumi e dell’alta montagna. Purtroppo la giornata non è affatto limpida come speravamo e l’aria afosa che grava sul fondovalle Susa, raffreddandosi durante il suo moto ascensionale, condensa in banchi di nebbia sempre più consistenti che salgono velocissimi a pelo del terreno sul versante est della montagna. Io e Roberto scrutiamo il cielo con comprensibile apprensione: siamo venuti fin qui proprio perché le previsioni del tempo erano ottime e sarebbe avvilente arrivare in cima senza vedere nulla. Fortunatamente le nebbie tendono a dissolversi verso i 3300 metri di quota e così, dopo il pilone della Crocetta (m. 3306), possiamo guardare con più ottimismo all’ultimo tratto di salita che ci attende. Il timore di essere beffato dalle nubi proprio "sulla linea del traguardo" mi spinge ad accelerare sensibilmente il passo per arrivare in vetta il prima possibile. Affronto di slancio la rampa finale che, sebbene attrezzata con dei canaponi, in condizioni di tempo buono e roccia asciutta non presenta la benchè minima difficoltà. Roberto è rimasto un po' indietro: mi dirà poi che sopra i 3200 metri ha patito la quota. Comunque si riprende alla grande e alle 11.15 ci troviamo tutti e due sul Rocciamelone (m. 3538), felici e soddisfatti.
La cima è decisamente "affollata": vi si trovano il Santuario con il Bivacco Santa Maria (costruito dopo la guerra del 15-18); un busto di Re Vittorio Emanuele II che salì sul Rocciamelone nel 1838 quando era ancora Principe di Sardegna; e una statua in bronzo della Madonna eretta nel 1899 e alta tre metri (fu trasportata a spalle, divisa in otto sezioni, dagli Alpini del Battaglione Susa).
A nord-ovest si distende il Ghiacciaio del Rocciamelone che digrada in territorio francese verso la Valle dell'Arc mentre a est corre la Valle di Viù con la strada che porta al lago artificiale di Malciaussia.
Alle 12 in punto, dopo una bella sosta rigeneratrice, iniziamo la discesa con le nebbie sempre ammassate alla parete sud-est. Dopo le corde fisse e dopo il traverso a mezzacosta fino al pilone della Crocetta, ci riportiamo sul grande crestone meridionale che seguiremo fin giù a La Riposa tenendoci sempre sul suo fianco orientale. Ripassiamo dal Ca' d'Asti dove troviamo i gestori al lavoro; sembra che, per problemi meccanici alla teleferica, l'apertura del rifugio subirà dei ritardi.
Infine lunga discesa verso i pascoli de La Riposa con due brevi deviazioni: una al Rio della Comba della Pala per un approvvigionamento idrico di fortuna e l'altra al Rifugio La Riposa (m. 2200), sempre alla ricerca disperata di acqua; anche qui niente fontane e rifugio rigorosamente sigillato. In fondo nel parcheggio scorgiamo la macchina dove abbiamo lasciato un po’ di bottigliette che ora stanno cuocendo allegramente al sole; ancora un po' di pazienza e potremo finalmente bere (sperando di non scottarci la bocca ...).
Alle 14.15, sei ore esatte dopo la partenza, concludiamo così la nostra gita al Rocciamelone, un autentico gigante di pietra che merita di essere salito almeno una volta nella vita; la sua forma conico-piramidale e la sua mole imponente che incombe su Susa da tre chilometri di altezza hanno fatto si che per secoli venisse considerato il monte più alto degli Stati sabaudi, se non addirittura il più alto delle Alpi.


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