11 agosto 2023 - FORTE CAMPOLONGO dal Rifugio Campolongo (Roana)
Stefano, Chiara, Alessandro
Quarta e ultima gita della vacanza ad Asiago al Forte Campolongo con partenza dall’omonimo rifugio.
Venne edificato tra il 1912 e il 1914 e costituiva, con i forti Verena e Corbin, la più diretta risposta alla “cintura di ferro degli altipiani”, la linea di forti realizzata dagli austriaci a difesa degli altipiani di Folgaria e Lavarone. Il Campolongo era una delle più moderne fortificazioni costruite dal Genio militare italiano. Nel luglio del 1915 venne gravemente danneggiato dal mortaio Škoda da 305 mm appostato a Costalta; il 15 maggio 1916 fu quasi completamente distrutto dai colpi di un obice da 380 mm che tirava da Forte Campo Luserna e che diede inizio alla grande offensiva austriaca nel Trentino; infine il 22 maggio 1916 cadde in mano al nemico che lo tenne saldamente fino al termine della guerra.
Lasciata l’auto nel grande piazzale del Rifugio Campolongo (m. 1551), ci incamminiamo lungo la rotabile ex militare che sale a svolte in un bosco di abeti in parte danneggiato nel 2018 dalla tempesta Vaia. In breve raggiungiamo il crinale dal cui ciglio ci si può affacciare (con attenzione!) sul versante opposto dove bastionate calcaree strapiombanti precipitano a balze sulla sottostante Val d’Astico.
Arrivati al forte (m. 1720) varchiamo l’ingresso sovrastato da fregi in marmo e percorriamo la galleria scavata nella roccia che conduce alla “piazza d’armi”. Alessandro è entusiasta e non basterebbe un guinzaglio allungabile a dieci metri per tenerlo a bada: sale sopra le cupole corazzate, visita le cannoniere, ispeziona il tunnel per il trasporto su carrello delle munizioni, entra in fureria e negli alloggi per i soldati. La giornata è luminosa e tersa e lo scenario è grandioso: con un sol sguardo si abbraccia il corso dell’Astico con le Prealpi Vicentine e le Piccole Dolomiti, l’Altopiano dei Sette Comuni e - in lontananza - le Dolomiti di Brenta.
Al ritorno seguiamo il sentiero che scende giù per un magnifico bosco di abeti dall’aspetto fiabesco e anche un po’ “misterioso”, cosparso di affioramenti rocciosi e di piccole doline: è qui che si trova la caverna del Sieson, una voragine carsica profonda quasi cento metri sul cui fondo è presente un laghetto ghiacciato tutto l’anno.
Arriviamo così al termine di questa bella escursione, sulla grande conca prativa del Rifugio Campolongo. Qui c’è un parco giochi per i bambini assai bene attrezzato che consente ad Alessandro di sbizzarrirsi su scivoli e carrucole e di concludere così - nel migliore di modi - l’ultima escursione della vacanza ad Asiago.
10 agosto 2023 - MELETTE DI FOZA dalla seggiovia Busa Fonda (Gallio)
Stefano, Chiara, Alessandro
Terza gita della settimana al Monte Castelgomberto e al Monte Fior sulle Melette di Foza. Lungo questa dorsale correva la linea italiana di massimo arretramento durante l’offensiva austriaca nel Trentino del 1916. Sulle Melette - definite la “chiave dell’altopiano” - si infranse l’avanzata nemica che mirava a scendere verso il Canal di Brenta e Bassano. Vista l’impossibilità di sfondare, il generale Conrad fece ripiegare le proprie truppe sulle fortissime e più razionali posizioni dell’Ortigara, dello Zebio e della Val d’Assa. Il settore delle Melette si incendiò nuovamente in seguito alla rotta di Caporetto: l’ala destra della 1a armata (cioè tutto lo schieramento italiano sull’altopiano) dovette essere arretrata di alcuni chilometri facendo perno sul Pasubio per mantenere il collegamento con la 4a Armata in ritirata dal Cadore verso il Massiccio del Grappa. Asiago e Camporovere, due paesi ormai completamente distrutti, furono abbandonati. Nel dicembre 1917, sotto la spinta nemica che pareva irresistibile, caddero il Monte Fior e tutte le Melette di Foza ma anche questa volta gli austroungarici non riuscirono a sfondare e vennero fermati a un passo dalla pianura su una nuova nuova linea imbastita tra la Val Frenzela, il Col del Rosso e il Monte Valbella.
Alessandro è sempre in ottima forma: è entusiasta di prendere la seggiovia che da Campomulo ci trasporta in pochi minuti sul crinale delle Melette di Gallio (m. 1651). Alle 9.15 ci mettiamo in cammino lungo la sterrata che scende verso la Piana di Marcesina e che conduce a Malga Slapeur (m. 1628, ore 10). La giornata è fresca e umida e il cielo risulta imbrattato da una nuvolaglia innocua ma persistente che limiterà non poco il panorama.
Da Malga Slapeur saliamo in un bellissimo bosco di abeti fino alla Selletta Stringa (m. 1731, ore 10.40) e da qui raggiungiamo a sinistra la sommità del Castelgomberto con il suo grande monumento (m. 1771, ore 11). Questa cima - invero modesta - è contraddistinta da una bancata calcarea che si presenta come una muraglia verso nord-ovest, la direzione dalla quale provenivano gli assalti austriaci: venne pertanto traforata e trincerata in più punti per farla diventare una fortezza invalicabile.
Il ritorno alla selletta lo effettuiamo proprio all’interno di una trincea. Alessandro vuole vedere tutto, mi tira di qua e di là; ora per entrare in un osservatorio, ora per esplorare una postazione di mitragliatrice: è affascinato da questi manufatti, parla in continuazione e non smette di farmi domande.
Dalla Selletta Stringa risaliamo in direzione opposta al Monte Fior (m. 1824, ore 11.35) purtroppo avvolto nella nebbia. Tira anche un fresco venticello e per mangiare troviamo un buon riparo dentro il cratere di una granata.
Dalla cima proseguiamo lungo il crinale toccando anche il Monte Spil (m. 1808) e scendendo poi a Casara Montagna Nova (m. 1724) affollata di pecore e mucche. Con una inversione a U imbocchiamo a destra un sentiero a mezzacosta che taglia i versanti ovest delle Spil e del Fior sopra la Val Miela. Qui il paesaggio è caratterizzato dalla presenza di enormi massi sbilenchi formati da tanti strati di calcare impilati uno sopra l’altro e denominati “libri” per l’evidente somiglianza. Adesso il sole riprende un po’ di coraggio e ci accompagna ancora per un tratto fino a Malga Slapeur, dove arriviamo tallonati da un grosso gregge di pecore assetate in discesa dal Monte Fior.
Non ci resta che risalire alle Melette di Gallio (ore 14) e prendere la seggiovia per tornare giù alla macchina. Anche oggi - nebbia a parte - è andato tutto per il verso giusto.
9 agosto 2023 - M. CENGIO dal Piazzale Principe di Piemonte (Treschè Conca)
Stefano, Chiara, Alessandro
Se la montagna degli alpini è l’Ortigara, quella dei granatieri è il Cengio. La zona del Monte Cengio offre un itinerario assai suggestivo che si snoda lungo un sistema di gallerie e di mulattiere scavate nella roccia a strapiombo sulla Val d’Astico, in un contesto paesaggisticamente entusiasmante: si tratta della cosiddetta “Granatiera”, strada militare di arroccamento costruita tra la Val Canaglia e il nodo del Cengio in posizione defilata dai tiri dell’artiglieria avversaria. Su questa propaggine meridionale dell’altopiano si accesero mischie furibonde durante l’offensiva austriaca nel Trentino del 1916, quando sembrava che nulla potesse più fermare la discesa del nemico al piano. Scrisse il generale Pennella, comandante della Brigata Granatieri di Sardegna: “Si narrava già di aver veduto rotolare per le rocce strapiombanti sull’Astico, nel furore dell’ardente lotta, grovigli umani di austriaci e di granatieri”.
L’itinerario parte dal Piazzale Principe di Piemonte (m. 1286, 6 km da Treschè Conca), posto sopra il ciglio sud-orientale dell’altopiano che si affaccia a precipizio sulla Val d’Astico: qui lasciamo l’auto (ore 9) per avviarci a piedi lungo il percorso della Granatiera.
Alessandro è ancora elettrizzato per la gita all’Ortigara e si lancia - sempre primo fra tutti - dentro ogni galleria e nelle caverne cannoniere, con un fervore e una curiosità davvero sorprendenti. Chiara è invece disincantata e per nulla sensibile al “fascino” storico e militare dell’escursione: teme una trappola - tipo un sentiero molto esposto o una lunghezza eccessiva dell’escursione - e procede silenziosa e circospetta. La giornata è fresca e nuvolosa. Brandelli di nebbia ascendono velocissimi dal basso e si addensano contro le vertiginose pareti calcaree che precipitano per mille metri sul fondovalle Astico: il panorama è limitato ma lo scenario è ugualmente spettacolare.
La Granatiera si sviluppa per circa 4 km tra strapiombi e imponenti opere in caverna realizzate dal Genio tra il 1917 e il 1918. Superata anche l’ultima galleria (la “Galleria Comando”) sbuchiamo nel cosiddetto Piazzale Pennella, il generale che da qui diresse le operazioni durante le terribili giornate di fine maggio e inizio giugno 1916. Infine - con un ultimo tratto di salita - raggiungiamo la sommità del Monte Cengio (m. 1347).
Alessandro è soddisfatto ma gli manca ancora qualcosina. “Vorrei veder delle trincee” mi dice, “belle come quelle dell’Ortigara”. E così, con una deviazione di una decina di minuti, andiamo a visitare anche la “Trincea dei Granatieri” e una postazione osservatorio praticamente sospesa nel vuoto. Ora Alessandro è pienamente appagato ma anche affamato: non resta quindi che fermarci al Rifugio “Al Granatiere” (qui tutto è dedicato al più antico corpo della fanteria) per placarne l’appetito (ore 11.30). Non completamente sazio, durante il ritorno alla macchina scova delle piante cariche di lamponi e sarà un’impresa da granatiere schiodarlo da lì.
8 agosto 2023 - M. ORTIGARA da Piazza delle Saline (Gallio)
Stefano, Chiara, Alessandro
Settimana di vacanza ad Asiago sull’Altopiano dei Sette Comuni, splendido plateau delle prealpi venete dove storia e natura creano un legame indissolubile. La cima più conosciuta e frequentata è senza dubbio l’Ortigara, montagna simbolo del sacrificio degli alpini: fu teatro della grande battaglia che l’esercito italiano scatenò il 10 giugno 1917 per la riconquista di una linea difensiva più favorevole sul ciglio settentrionale dell’altopiano, dopo la perdita della fortissima posizione di Cima Portule subita l’anno precedente con l’offensiva austriaca nel Trentino.
Per raggiungere la partenza della gita abbiamo dovuto percorrere in macchina la strada ex militare che dal Rifugio Campomuletto sopra Gallio conduce al Piazzale Lozze. Sono 8 km di sterrata in condizioni pessime ed è solo grazie alla Panda se siamo riusciti ad arrivare a destinazione.
Lasciata l’auto presso il bivio di quota 1712 (ore 9.40), ci incamminiamo lungo la rotabile attraverso l’amena conca pascoliva di Busa Saline circondata da boschi di larice e di abete rosso. Al tempo dell’offensiva era questo uno dei punti di raccolta dei rincalzi che attendevano l’entrata in linea. Qui giungeva micidiale il tiro d’interdizione dell’artiglieria nemica che ostacolava e rendeva penoso il movimento delle truppe e il trasporto dei rifornimenti: ancora oggi il terreno risulta disseminato di buche e di crateri di granate.
Al Piazzale Lozze (m. 1771) inizia la mulattiera che sale tra gli abeti fino alla Chiesetta del Lozze (m. 1890), costruita dagli alpini del battaglione Verona subito dopo la battaglia. Poco sopra la chiesetta, si scavalca il costone che scende da Cima Caldiera e dal quale si ha una visione d’insieme del vasto teatro di guerra dell’Ortigara. Il sentiero - segnato con bandierine tricolori - procede con saliscendi tra pini mughi e lastroni di rocce che spesso fanno da marciapiede. Arriviamo così al Baito Ortigara (m. 1937) posto al centro del vallone dell’Agnellizza: in alto alla nostra destra sta la Cima Caldiera, ai tempi tenuta dagli Italiani; alla nostra sinistra l’Ortigara, saldamente in mano austriaca.
Per andare all’assalto gli alpini dovevano discendere i fianchi della Caldiera, attraversare allo scoperto il vallone e risalire dalla parte opposta l’aspro pendio dell’Ortigara: il tutto sotto il tiro violentissimo delle cannonate, il fuoco incrociato di un gran numero di mitragliatrici nascoste in caverna e i reticolati in gran parte intatti. Il 19 giugno la vetta dell’Ortigara venne presa da più lati ma gli alpini vi arrivarono talmente stremati da non riuscire a compiere ulteriori progressi in direzione del Portule, vero obiettivo dell’offensiva. La cima era spoglia, priva di risorse idriche, difficile da difendere ed esposta continuamente al tiro di repressione delle artiglierie nemiche. I generali italiani, presi dal dubbio che un ritorno alle trincee di partenza potesse apparire ingiustificato, scelsero di lasciare le truppe sulle precarie posizioni appena conquistate. Passarono alcuni giorni e il 25 giugno, alle 2.30 di notte, un violentissimo e fulmineo contrattacco austro-ungarico condotto con lanciafiamme e bombe a mano investì la cima annientando il presidio italiano. Alle 4.40, ben due ore dopo il contrattacco, il generale Di Giorgio inviava un fonogramma al comando di divisione in cui affermava: “Alpino Arroscia giunge questo momento da settore sinistra. Racconta che tratti di linea Arroscia investiti da lanciafiamme avrebbero ceduto. Stop. Scorgesi combattimento fiammelle fucileria ridottino Ponari. Occorre concentrare tiri interdizione rovescio ridottino Ponari. Stop. Telefono con codesto comando interrotto. Generale Di Giorgio”. Ai pochi soldati italiani rimasti in vita, impossibilitati a ritirarsi e a comunicare con le retrovie a causa del fuoco di sbarramento sul vallone dell'Agnellizza, altro non restò che la resa. I sanguinosi e velleitari tentativi di riprendere l’Ortigara fallirono, fino a quando il 29 giugno i comandi ordinarono finalmente la fine dell’offensiva: si trattò nella sostanza di un grave insuccesso tattico e strategico che costò agli alpini perdite spaventose.
Noi ci lasciamo il Baito alle spalle e saliamo lungo il Coston dei Ponari arrivando così alla trincea di massima resistenza austroungarica. Alessandro è elettrizzato e ispeziona minuziosamente i ricoveri in caverna e le postazioni per mitragliatrici scavate nella roccia viva con le perforatrici e a colpi di mina. Alle 12.20 raggiungiamo la sommità del monte (m. 2105) dove nel 1920 la neonata Associazione Nazionale Alpini eresse la colonna mozza a ricordo dei tragici avvenimenti. Successivamente procediamo in leggera discesa verso nord andando a toccare il cippo austriaco (m. 2086) dal quale si gode una vista magnifica e vertiginosa sul fondo della Valsugana, ben 1700 metri più in basso di noi.
Al ritorno seguiamo il sentiero che scende ripidissimo giù per le balze che si tuffano verso il Passo dell’Agnella (m. 1990). Il pendio dirupato e il baratro della Valsugana inquietano Chiara che preferisce tornare al Baito per lo stesso percorso dell’andata. Io e Alessandro invece proseguiamo. Circa a metà discesa transitiamo all’interno di una galleria dove occorre tenersi ben saldi alle funi d’acciaio dal momento che il fondo risulta sempre bagnato ed estremamente viscido; soprattutto bisogna prestare attenzione all’uscita, dove una passerella di legno scavalca un profondo pozzo. Al Passo dell’Agnella voltiamo a destra e in breve - per il vallone dell’Agnellizza - facciamo ritorno al Baito Ortigara dove ci ricongiungiamo con Chiara.
Il sole va e viene tra le nuvole, l’aria è fresca e si cammina assai bene senza sudare. Alle 15.10 siamo dalla macchina: la gita è stata bellissima ma io non posso ancora rilassarmi; lo farò solo quando arriveremo con l’auto a Campomulo, al termine del lunghissimo e spossante tratto di sterrato nel quale occorre procedere veramente a passo d’uomo e fare continuamente attenzione a dove si mettono le ruote.