20 aprile 2018 - COLLE DI CRETO da Pino Sottano
Gianni, Franca
Il tempo è davvero bizzarro. Fino a pochi giorni fa c’era freddo, pioggia e neve in quota e ora c’è un caldo estivo. Usciamo da casa (Pino Sottano) e in pochi passi siamo all’antico ponte-sifone che domina dall’alto la valle del Geirato e che solo qualche anno fa, prima dei lavori di ripristino e della pulizia costante del fondo, era impercorribile.
Al di là del ponte risaliamo la crosa che porta al maneggio e proseguiamo su Via San Felice fino a incontrare Via del Perdono. L’intenzione è quella di seguire il quadrato rosso vuoto per il Colle di Creto.
Un piccolo appunto. Il segnavia è ovunque ben visibile ma mancano due segni di svolta: a destra per Via del Perdono e, poco più in alto, a sinistra dove bisogna costeggiare un basso muretto a secco e una radura con gli alberi già in fiore.
Ci attende una bella mulattiera che un tempo doveva essere importante ed era, fino alla costruzione della carrozzabile di Creto nei primi decenni del secolo scorso, una via di collegamento per la Valle Scrivia: una delle tante vie del Sale.
Dolce nel primo tratto la mulattiera sale decisamente quando si supera un ponticello e un piccolo specchio d’acqua. Come mai sia così ben tenuta lo scopriamo solo dopo quando, ben più in alto, incontriamo una casa isolata e abitata. Oltre la casa invece è dissestata in alcuni punti e il sentiero del quadrato vuoto rosso è costretto a correrle a fianco. Due cavi metallici posti in diagonale ad altezza d’uomo dove sono rimasti appesi solo minuscoli brandelli di nastro potrebbero costituire un pericolo per chi la volesse discendere in bicicletta. I resti di due auto accartocciate fanno un contrasto stridente con la tranquillità del bosco e ci danno la certezza di essere sotto la famigerata Curva del Perdono dove c’è chi si diverte a far precipitare macchine certamente non guadagnate col sudore della fronte.
Il pendio si fa meno ripido e si allarga in accoglienti radure. Poco sopra raggiungiamo l’altopiano di Creto con i suoi pianori ondulati e verdeggianti. L’ombra che fin qui ci ha regalato un po’ di frescura lascia il posto a un sole accecante, il vento caldo scuote le fronde rade dell’albero dove ci sediamo a mangiare, un piccolo gregge ritorna all’ovile.
La discesa si snoda sul ripido pendio coperto di piante di rovere e cespugli bassi che dal Colle del Canile scende all’Acquedotto. Il mezzogiorno ha fatto salire di parecchio la colonnina di mercurio. Il cuculo canta. Seguiremo le bandierine bianco-rosse dell’AQ2 sulla larga sterrata dell’Acquedotto e lungo la discesa nel bosco che parte dalla curva del traliccio e porta al Castello di Pino e poi a San Giacomo. Su questo sentiero, che si chiama AQ2 e che vuol dire Acquedotto 2, vorrei spendere due parole. Ideato qualche anno fa da Fausto Papini e realizzato insieme a un gruppetto di volontari, è tenuto costantemente in ordine da poche persone. Quando lo percorriamo incontriamo spesso Giancarlo, un “grande” come lo definisce l’amico Fausto, che sfronda i rami e sistema il sentiero. Il ponte della foto, bellissimo, largo, robusto, è stato costruito alcune settimane fa. Poche, pochissime persone stanno facendo un grande lavoro.
Torniamo alla nostra gita perché a questo punto, dopo essere arrivati al Castello di Pino e aver percorso la bella Via Ca’ di Sciarretta, stiamo per giungere a San Giacomo. Noi dobbiamo andare a Pino e perciò lasciamo l’AQ2 che scende al Geirato e seguiamo il sentiero dell’Acquedotto Seicentesco che ci traghetta sull’opposto versante.
Anche questo sentiero, che per semplicità chiamiamo il sentiero celeste perché il segnavia è un bollo azzurro, merita due righe. Un tratto di acquedotto che risale al 1600 è stato recuperato e reso transitabile. Il lavoro è stato grande e continua tutt’ora. L’ultimo intervento, reso necessario da una frana, ha comportato la costruzione di parecchi gradini: tronchi sistemati a sostenere il pendio, addirittura incisi in superficie con la motosega per non scivolare.
Tutto volontariato quello dell’AQ2, dell’AQ1 del quale abbiamo parlato in altre occasioni, dell’Acquedotto Seicentesco. Tutto volontariato che ha permesso di recuperare dall’oblio parte di quel reticolo di sentieri, crose, sterrate che attraversano le alture della Valbisagno.
Siamo arrivati a casa. Accaldati, sudati e anche un po’ stanchi nonostante la lunghezza dell’anello non superi forse i tredici o quattordici chilometri. Ma posso assicurare che, quando poco prima di Villa Santa Caterina ne ho individuato lo sviluppo al di là della vallata, mi è sembrato ben più lungo.
11 maggio 2017 - ACQUEDOTTO STORICO (antico percorso del 1600) e CASTELLUZZO da Pino Sottano
Gianni, Franca
Le antiche crose che univano i paesi sulle alture della città mi hanno sempre affascinato. Raccontano una storia antica che vorrei non andasse perduta ma per la maggior parte purtroppo sono state ingoiate dal bosco, distrutte dalle frane e dal tempo che scorre implacabile. I borghi che costellano le alture della Val Bisagno dovevano essere collegati tra loro da un reticolo di mulattiere, scalinate, creuze. La strada di fondovalle non esisteva, la gente abitava sulle colline, i campanili sorgevano in alto.
Adesso ho scoperto che il sentiero che corre sull’antico acquedotto del 1600 è stato ripristinato. L’anno scorso ne era stato inaugurato un tratto dall’altro lato della valle rispetto al mio paese che è Pino Sottano. Tra pochi giorni, il 20 di maggio, verrà inaugurato l’anello completo. Non una mulattiera qualsiasi, che sarebbe già tanto, ma addirittura un pezzo di storia che risale a quattro secoli fa. Volontari che da due anni lavorano di picco e di pala per rendere transitabile il percorso. Non era un segreto, avrei potuto venirne a conoscenza tanto tempo fa se solo mi fossi tenuta informata, e invece è stata una bella sorpresa rivelatami dalla mail di un volontario, Bruno.
Il 20 di maggio deve ancora arrivare e già Gianni lo ha percorso, in parte o per intero, per tre giorni di fila. Partendo direttamente da casa e non dalla Casetta dei Filtri di via alle Brughe. Oggi ci sono anche io e lo allungheremo con una variante che ci porterà fino a Terre Rosse e al Castelluzzo.
L’azzurro del cielo è mescolato al bianco delle nuvole come sulla tavolozza di un pittore, il bosco ha i colori della primavera, cespugli fioriti ci accompagnano lungo il percorso. Quando partiamo da casa le mamme stanno accompagnando i bambini a scuola. Dove andate? Davvero? Potremmo portarci i bambini. Il 20 di maggio? Giriamo dietro a Villa Durazzo che oggi si chiama Villa Santa Caterina e di giorno ospita gli anziani, percorriamo un tratto di strada asfaltata fino ad un gruppo di case e, subito prima che finisca l’asfalto, scendiamo nel bosco sul sentiero che si stacca sulla sinistra.
All’inizio del sentiero, ripulito, l’antico acquedotto liberato dalla terra che l’aveva sepolto, un ponticello con l’arco di pietre, alcuni manufatti di origine incerta che probabilmente erano serviti per portare l’acqua a Villa Durazzo, facciamo un incontro. L’aria da esploratore, bandana in testa, una piccola roncola per gli ultimi lavori al sentiero. Un saluto, conosce il mio nome, quello di Stefano, sa tanto di noi, chi sarà? La timidezza mi impedisce di chiedere, escludo che si tratti di Bruno. Troppo giovane. Me lo figuro più anziano. Solo dopo, un po’ più avanti nel sentiero quando incontriamo il minuscolo borgo che sulla carta tecnica della regione si chiama Molinetto ma ora, forse per un incendio di cui sono ancora visibili le tracce, viene chiamato Case Bruciate, Gianni e io ci guardiamo in faccia. Sarà stato Bruno? Lo era. Abbiamo fatto una figura da scemi.
Il primo paese che incontriamo è San Giacomo che in macchina, tra scendere nel traffico e risalire strade tortuose, mi è sempre sembrato scomodo da raggiungere. A piedi, come oggi, mi sembra invece comodo e vicino.
Il sentiero prosegue sul tracciato dell’antico acquedotto, alti muri in pietra lo costeggiano. E poi, dopo un breve tratto di asfalto, c’è il borgo di Carpi, tra cespugli fioriti bianchi e rosa e l’acquedotto che corre a fianco delle case ricoperto appena da uno strato di cemento. Costeggia campi cintati, ordinati, piante di ulivo, attraversa il ponte sul Geirato, che risale anch’esso al 1600 e ha grandi archi in pietra e soltanto un muretto di protezione su di un lato, e subito dopo raggiunge il borgo Geirato.
A questo punto facciamo una variante e allunghiamo il nostro itinerario arrampicandoci sul sentiero che sale, scende e sbuca a Cartagenova. Poi seguiamo via San Felice, oltrepassiamo la località chiamata Tre Coste e prima del galoppatoio svoltiamo a sinistra su Via del Perdono dove, a fianco della targa, c’è la palina con il segnavia del quadrato rosso per il Colle di Creto.
Il segnavia, pochi metri dopo, svolta a sinistra tra le case. Lo seguiamo e l’abbandoniamo subito dopo per salire lungo un’antica mulattiera che un tempo doveva essere importante e frequentata. La via del Perdono inizia quindi a Cartagenova, prosegue sulla mulattiera, passa per la Coce di San Siro e termina a Creto all'omonima curva. Noi la lasciamo al crocevia che unisce Molassana a Struppa e ci arrampichiamo al Castelluzzo, attraversiamo le Terre Rosse fiorite di gialle ginestre, ci affacciamo sulla vallata del Bisagno, ritorniamo e scendiamo infine all’antico acquedotto che ci accompagnerà alla chiesa dell’Assunta a Molassana Alta e a Vie delle Brughe.
Qui c’è una casetta, la casetta dei filtri, dove si imbocca il ponte-sifone. Oggi è chiusa, di qui non si può. Rinunciare a percorrere l’ultimo tratto dell’anello dell’acquedotto secentesco che tra pochi giorni verrà inaugurato ci spiace. Siamo qui, il ponte che con una lunghezza di 600 metri attraversa la valle del Geirato è davanti a noi. Una piccola infrazione la merita, è tanto che non ci sono più stata e so che i volontari che hanno recuperato il sentiero, che hanno riportato alla luce un pezzo di storia, l’hanno ripulito alla perfezione. Proseguiamo, raggiungiamo via San Felice e una breve scaletta a pioli in ferro ci permette di scendere dalla strada al ponte.
Che ponte! Ripulito come l’ho trovato oggi è tanto diverso da come l’avevo visto anni fa col fondo invaso dalle piante e dai detriti che rendevano difficoltoso il cammino. Oggi si cammina con agio tra i parapetti altissimi, una serie lunghissima di colonne attraverso le quali si può vedere la valle e due grandi tubi in ghisa rugginosi che vi si appoggiano. Dapprima scende e poi risale. Il cielo, che spunta sulle nostre teste e ci è nascosto sui lati, è come questa mattina una miscela di azzurro e di bianco. Piccoli cespugli di fiori rosa sono cresciuti tra la poca terra che si è posata e colorano il grigio della pietra e il marrone della ruggine.
Il campo di Cà dei Rissi sulla nostra sinistra, Villa Durazzo a destra, il nostro anello arricchito dalla variante si è concluso. I bambini stanno uscendo di scuola. 9,5 chilometri percorsi, 355 metri di dislivello quasi tutti per salire al Castelluzzo, 3 ore e 10 di cammino effettivo con un ritmo da passeggiata.
11 febbraio 2016 - ANELLO DEI SENTIERI AQ1 e AQ2 da Molassana
Gianni, Franca
Oggi faremo un anello, a chilometri zero da casa nostra sulle alture di Molassana. Una gita decisa al momento quando affacciandoci alla finestra abbiamo visto una bella giornata di sole.
Alle 9,45 siamo in via Geirato, sotto il ponte-sifone dove passa l’acquedotto storico. Andiamo più avanti e passiamo sull’altra sponda per prendere la crosa di salita Costa Fredda. Un nome, quello di Costa Fredda, regalato dall’alito gelido del torrente che scorre nell’ombra del fondovalle e che anche questa mattina si fa sentire. Il segnavia è la bandierina bianco-rossa del Sentiero AQ2.
Più in alto, dove la crosa svolta bruscamente a sinistra, l’abbandoniamo, attraversiamo via San Felice e raggiungiamo l’antico acquedotto con l’altra crosa che si chiama via delle Brughe. Il sole illumina la borgata di Molassana Alta che si stringe intorno alla chiesa.
Lo seguiamo più o meno per mezzo chilometro e lo lasciamo per via alla Costa di San Siro che si stacca sulla sinistra. In questo breve tratto dal selciato in sassi il fondo è stato in parte eroso dall’acqua e un tratto di ringhiera è sospeso nel vuoto.
Pochi gradini in cemento, un vecchio trogolo e i segnavia proseguono lungo la salita Ca’ da Ria per portarci, in pochi minuti, a una bella e grande casa rosa che una volta era appartenuta agli Spinola, ora perfettamente ristrutturata e raggiungibile da San Siro di Struppa (ore 10,30). Alle sue spalle ci sono delle vecchie cascine e, sulla sinistra, il nostro sentiero, via ai Piani di Struppa.
Naturalmente non c’è nessuna targa e se so come si chiama è perché lo trovo scritto sulle vecchie carte: a quelle che una volta erano strade percorse quotidianamente non è rimasto che il nome. Quando qualche anno fa è stato tracciato il percorso dell’AQ2 alcuni tratti erano impercorribili e se non fosse stato per Fausto, Adriana e compagnia che hanno lavorato di picco e di pala lo sarebbero ancora adesso. I segnavia che hanno sistemato sono perfetti.
Il sentiero raggiunge presto un crocevia dove ci sono i ruderi di una vecchia trattoria. Senza più tetto, i muri perimetrali che resisteranno ancora per poco, era frequentata una volta dagli abitanti di Struppa e di Molassana. Al crocevia infatti arriva la vecchia mulattiera di Cartagenova: via del Perdono. E un altro sentiero, che oggi non percorriamo, va alle Terre Rosse e al Castelluzzo.
Noi continuiamo a salire nel bosco lungo la mulattiera, in alcuni tratti fiancheggiata da muri a secco, fino a che usciamo allo scoperto e ci troviamo sulla dorsale lungo la quale sugli alti tralicci corrono i cavi dell’elettrodotto.
La croce di San Siro si vede all’ultimo, anche perché le braccia sono sullo stesso asse del filo di cresta e rimangono nascoste. E’ uno dei punti più panoramici, con la vallata del Bisagno e i monti che la circondano che scendono verso il mare. L’Alpesisa, sulla quale siamo saliti l’altro giorno, è alle spalle, verso nord. Ci sediamo qualche minuto sui gradini della piccola cappella dedicata alla Madonna e poi riprendiamo il nostro giro.
Dalla Croce di San Siro scendiamo alla sterrata che va a Creto, purtroppo trasformata dai pastori in discarica. Spazzatura lasciata cadere dall’alto delle baracche costruite sul crinale (sarebbe stato bello passare di lì e invece …), pallets di legno e altro materiale raccolto e abbandonato. Dal 2014 la situazione è peggiorata.
Sotto di noi si stende l’ampia vallata del Bisagno. Il torrente scorre tranquillo al centro dell’ampio letto e solo dove è costretto a fare un lungo giro intorno al Monte Montanasco diventa più ripido e la sua acqua ribolle. “Vedi la schiuma?” mi dice Gianni “sono le rapide di Montanasco”. Il Bisagno è ora imbrigliato fra alti argini in cemento ma una volta le sue sponde erano ricoperte dagli orti e ci andavano le lavandaie a fare il bucato. Era un luogo di lavoro e di vita.
Per fortuna la sterrata è breve e sbuca sulla strada per Creto alla Curva del Perdono. Peccato che con dei bancali legati al guardrail col filo di ferro i pastori l’abbiano chiusa. Io sono … diciamo che mi è saltata la mosca al naso. Slego il filo di ferro attorcigliato … e il bancale cade a terra. Sotto gli occhi di un carabiniere posteggiato a un palmo dal guardrail e impegnato, lo capiamo dopo, per un auto precipitata nel dirupo. Proprio nella curva risaliamo per prati e percorriamo la breve dorsale che sovrasta la carrozzabile e ci conduce verso i Villini di Creto. Altra serie di bancali, questa volta non legati col filo di ferro, interrompono il percorso. La mosca, che era rimasta vicino al mio naso, ricomincia a saltare e se ne va solo più avanti quando incontriamo un pastore e ci scambiamo un saluto.
Alle 12,30 siamo al Colle del Canile, il punto più elevato del percorso. Seduti sull’erba del cocuzzolo che sovrasta il passo ci godiamo il sole e ci fermiamo a mangiare. Davanti a noi il Diamante è incorniciato dai monti delle Alpi Liguri finalmente imbiancate. Da una parte il Pizzo d’Ormea e dall’altro il Mongioie. E’ in queste occasioni che sogno una bella reflex con l’obiettivo a cannocchiale …
L’itinerario AQ2 prosegue e scende ripido fino a sbucare dove c’è l’imbocco della galleria del Val Noci. Siamo ora sulla comoda sterrata dell’attuale acquedotto. Spuntano tra gli alberi i Prati Casalino allagati.
Più avanti, nel tornante dove c’è un traliccio, il sentiero dell’AQ2 scende verso Castello di Pino e San Giacomo. Un segnavia indica la deviazione e un altro il collegamento al sentiero AQ1 che è quello che andremo a percorrere.
Trascuriamo quindi la deviazione e proseguiamo sulla sterrata che ci offre scorci sulla vallata e sul quartiere di Molassana, superiamo la chiesetta alla Crociera di Pino e prima di arrivare alla baita del Diamante svoltiamo a sinistra e ci inerpichiamo sul Monte Bastia (15,20). Da qui possiamo abbracciare con lo sguardo l’intero giro fatto finora. Di fronte a noi, vicinissimo, si innalza il Diamante e le Figne, il Taccone e il Leco coprono le spalle all’Alta Valpolcevera.
Ci resta da percorrere la dorsale che scende all’acquedotto storico, dapprima dolce con i Monti Trensacsco e Pinasco e poi ripida.
Con l’obiettivo avvicino Creto e l’Alpesisa, il Forte Ratti e il Monte Fasce. Vista dal nostro sentiero la Corte Lambruschini sembra un gigantesco cartellone pubblicitario, nero e angosciante.
Ci stiamo avvicinando: il Bisagno è sormontato dal grande ponte dell’autostrada e lontano c’è il mare.
Terminiamo il lungo anello alle 17,10 con 18 chilometri, 770 metri di dislivello, 5 ore e 50 minuti di cammino effettivo.
11 dicembre 2014 - CROCE DI SAN SIRO da Molassana
Cesare, Dino, Sara, Elio, Renato, Paolo, Angela, Lodovico, Giovanni, Gianpiero, Bruno, Giancarlo, Corrado, Gianni, Franca
Un altro anno è passato e oggi ci ritroviamo per il tradizionale pranzo di Natale del Gruppo.
La vecchia mulattiera che da casa nostra scende a Molassana dove ci siamo dati convegno presso il ponte del Geirato ci regala subito qualche emozione. I mattoni sono viscidi, impastati di fango e tanto scivolosi che è più facile cadere che restare in piedi.
L’appuntamento è a un’ora più tarda del solito perché la gita è breve e vicina. Il cielo è quasi del tutto sereno e l’aria mite. Ho fatto bene a lasciare nell’armadio l’abbigliamento invernale perché più tardi mi ritroverò a camminare in maglietta a maniche corte. Siamo un bel gruppo e qualcuno ci raggiungerà cammin facendo.
Alle 9,15 iniziamo la tranquilla camminata sul sentiero AQ2, prima sulle crose che salgono all’antico acquedotto, poi alla chiesa dell’Assunta e al cimitero di Molassana Alta e, dopo aver abbandonato il condotto e attraversato quelle che una volta erano fasce coltivate, a una grande villa padronale che si affaccia sulla Valbisagno.
Svoltiamo a sinistra attraverso vecchi casolari accompagnati dal chiocciare delle galline che ci osservano dalla grata del pollaio e risaliamo il bosco su quello che un tempo era un sentiero trafficato perché collegava Struppa a Molassana e da Struppa e Molassana permetteva di salire in pellegrinaggio alla Croce di San Siro.
Al crocevia dove ci sono i ruderi di una vecchia trattoria l’avanguardia del gruppo prosegue in salita mentre gli altri fanno la breve deviazione che porta ai resti dell’antica torre di avvistamento chiamata il Castelluzzo e alle Terre Rosse. Dieci minuti per andare e dieci per tornare.
Alle 11, quando arriviamo alla Croce di San Siro dove i primi ci stanno aspettando, le nuvole si contendono l’azzurro del cielo. Maccaja e caldo nonostante il Natale sia ormai prossimo.
Una breve discesa nel bosco e poi una sterrata che i pastori hanno ridotto a un cumulo di spazzatura (ma possibile che non si possa fare niente?) ci portano alla Curva del Perdono sulla strada di Creto. Poi, chi per asfalto e chi sulla dorsale che sovrasta la strada, arriviamo a Creto e alla trattoria poco prima di mezzogiorno giusto in tempo per sederci a una bella tavolata e iniziare il pranzo. Ma Gianni indugia e si sofferma davanti a una fotografia che ritrae la Sampdoria del 1968. Il proprietario è un ex calciatore della sua squadra del cuore e i ricordi di oltre quarant’anni fa tornano a galla.
Affettato e frisceu, ravioli e gnocchetti di castagne, brasato e dolce. Giovanni recita le sue belle poesie in genovese. Tutto come da tradizione.
Alle tre ci incamminiamo lungo il percorso del quadrato vuoto rosso e nel bosco abbiamo la sorpresa di trovare un cimitero di macchine che qualche disgraziato si è divertito a far precipitare dall’alto. Poi passiamo a fianco della bella casa isolata e raggiunta solo dal sentiero che è abitata da un amico di Dino e di Bruno e alle 16 siamo a Cartagenova dove salutiamo gli amici e ci diamo appuntamento per giovedì prossimo a Manarola. Un altro anno è passato …
29 maggio 2014 - M. CROCE DI SAN SIRO, M. ALPE e M. CAROSSINO da Molassana
Bruno, Renato, Claudio, Elio, Angela, Chiara, Paolo, Giancarlo, Gianni, Franca
A distanza di due settimane torniamo col gruppo a far visita ai monti che coronano la Val Bisagno. Bruno fa da guida e ci accompagna su sentieri in parte noti e in parte inediti nonostante siano vicinissimi a casa nostra. La giornata è incerta e il meteo prevede pioggia nel pomeriggio. Alle 8 imbocchiamo la bella crosa per Cartagenova che parte all’inizio di Via San Felice (Salita Giò Maria Cotella) e l’abbandoniamo solo quando, attraversato l’antico acquedotto prima e via Olivo dopo, nei pressi di una fontana ne incrociamo un'altra: Via alle Piane di Molassana prima e Salita alla Costa di Molassana subito dopo. Il viottolo in mattoni si trasforma presto in un sentiero che si inoltra nel bosco. Sugli alberi un curioso segnavia scout, l’impronta di una zampa.
Il sentiero, che non conoscevo, sbuca in località Terre Rosse. Ah, qui sì che mi ci riconosco, sono sul tracciato AQ2 di due settimane fa. Una foto di gruppo al Castelluzzo e dietrofront per ritornare alle Terre Rosse e raggiungere l’incrocio con i ruderi di un’antica trattoria.
Il terreno mi è familiare. Percorriamo la mulattiera ripulita e di nuovo transitabile dopo che è stato tracciato il sentiero AQ2 e in breve raggiungiamo la panoramica Croce di San Siro. Sulla grande croce in ferro è inciso l’anno di costruzione - 1984 - ma immagino che prima ce ne fosse un’altra, visto che la vicina cappella porta una data più antica.
In basso si snoda la popolosa Val Bisagno e lontano si indovina il mare che oggi si confonde con il cielo. I grandi cespugli di ginestra sono nel pieno della fioritura. Sopra di noi fiocchi di nuvole bianche nel cielo azzurro.
Raggiungiamo la sterrata per Creto, dove grandi cataste di bancali in legno sono state abbandonate dai pastori dopo averle solo in parte utilizzate per le recinzioni, e poco dopo incrociamo la provinciale per Creto allo stretto tornante noto come la Curva del Perdono.
Risaliamo la breve rampa e arriviamo all’abitato in via Villini di Creto e poi su sterrata al Colle del Canile. Abbandoniamo qui il sentiero AQ2 che scende nel bosco e proseguiamo sulla dorsale prativa dove è tracciata l’Alta Via.
Dopo le prime chine lo scenario si apre inaspettato su belle, ampie e panoramiche praterie. Ogni rilievo ha un nome: Monte Alpe il primo, Monte Carossino il secondo. Se proseguissimo ancora sul crinale in direzione nord arriveremmo al Monte Sella ma ci fermiamo e nonostante sia ancora presto (ore 11,30) tra l’erba alta e ancora verdissima il gruppo si ferma a mangiare.
Nubi scure e minacciose coprono le cime più alte e lontane ma a quota 800 metri e dove ancora si risente dell’influenza del mare il cielo sembra dipinto a grandi pennellate di bianco, grigio chiaro e azzurro. Forse ce la caviamo e l’ombrellino resterà sul fondo dello zaino.
Il giro continua. Ci tuffiamo nel bosco e con un breve raccordo incrociamo il percorso della X rossa Righi-Santuario della Vittoria. Abbiamo raggiunto il punto più a nord del nostro anello, che da Creto ha disegnato una propaggine stretta e allungata verso Crocetta d’Orero.
Le X rosse sono visibilissime, impossibile sbagliare. Noi le seguiamo in direzione Righi abbandonando la propaggine e ritornando alla regolare geometria del nostro anello sulla larga e comoda sterrata che ci accompagnerà alla Crocera di Pino.
Si sono fatte le due del pomeriggio quando arriviamo alla piccola cappella alla Costa di Pino. La pioggia non è arrivata e sembra che il tempo stia migliorando. Il giro di oggi e un mix di sentieri e sentierini, di percorsi che si intrecciano e si sovrappongono.
Seguiamo la stradina asfaltata fino a incrociare il sentiero AQ1 che sale dal Monte Bastia. Ecco che abbiamo collegato i due itinerari che il CAI ULE ha tracciato su questi monti alle spalle della Val Bisagno.
Pochi passi e siamo sul Bastia che sembra un balcone sul Forte Diamante. La dorsale che scende verso Pino Sottano e San Gottardo è tappezzata di ginestre in fiore. Le nuvole si stanno allontanando e ci regalano un pomeriggio di sole.
Monte Trensasco, Monte Pinasco e l’antico Acquedotto con le sue lastre di pietra di Luserna che a poco a poco vengono sostituite con il cemento.
La compagnia si divide, qualcuno scende a San Gottardo per prendere il bus, qualcuno torna a Molassana dove ha lasciato la macchina. Noi, dopo aver accompagnato gli ultimi fino a Cà dei Rissi dove scende la mattonata per Molassana, torniamo semplicemente a casa (ore 16).
Una gita in tutta tranquillità, 6 ore e mezzo di cammino effettivo, una ventina i chilometri percorsi, quasi 1000 metri il dislivello.
15 maggio 2014 - ANELLO DEL SENTIERO AQ2 da Molassana
Fausto, Adriana, Gianni, Franca
I nostri amici sono impegnati in un trekking di tre giorni. E noi che con rammarico non abbiamo potuto partecipare proviamo il Sentiero AQ2 che è stato inaugurato dal CAI ULE sabato scorso. Possiamo farlo senza neppure muovere la macchina e il tempo è splendido.
Da casa nostra scendiamo viale Pino Sottano che sbuca in via Geirato e qui, neppure ci fossimo dati l’appuntamento, incontriamo chi ha ideato e realizzato questo sentiero: Fausto e Adriana. Bene, è una bella fortuna. Ci spiegheranno e ci racconteranno.
Veniamo a sapere che il lavoro di preparazione è iniziato tre anni fa, che gli ostacoli sono stati tanti, soprattutto per il ripristino di una crosa franata e inagibile e di tratti di sentiero invasi dalla vegetazione, ma anche per le piogge che hanno dilatato i tempi per la realizzazione dei segnavia e per qualcuno che non ha voluto il segnavia nella loro proprietà.
Tralasciamo il primissimo tratto (la partenza è in via Bernardini) e dopo aver attraversato il Geirato, con un po’ di gimkana tra Via Isola del Vescovo, Salita Costa Fredda, Via Roccatagliata, ci ritroviamo sull’Acquedotto nei pressi della Chiesa di Molassana Alta.
Ora percorriamo l’Acquedotto fino alla casa isolata oltre il cimitero e svoltiamo a sinistra su via alla Costa di San Siro. Il cielo è sereno, l’aria frizzante e la visibilità ottima.
Le bandierine bianco-rosse risalgono una crosa ora perfettamente percorribile ma prima coperta dalle frane e dalla vegetazione.
Una grande e bella villa padronale ristrutturata di recente attira la mia attenzione. Alle sue spalle vecchie case e un fienile. E’ qui che parte il sentiero ripulito e perfettamente agibile che noi seguiremo. Il bosco è a dir poco lussureggiante ed è capace di inghiottire in pochi anni ogni traccia di passaggio. Pare che un albero abbia avuto tempo e modo di crescere indisturbato al centro del sentiero. Fino a quando Fausto e tutti gli altri volontari mobilitati per realizzare l’AQ2, zac, l’hanno abbattuto. Insomma per tracciare un sentiero si fa fatica e per conservarlo anche.
In un crocevia i ruderi di un’antica casa ci raccontano una storia. Questa casa era una trattoria e la gente ci veniva a ballare. Bisogna sapere che a questo crocevia arriva il sentiero che abbiamo fatto noi e che serviva alla gente di San Siro di Struppa e ne arriva un altro che ha l’aria di essere stato molto usato nel passato e che sale da Cartagenova: pare si chiami via del Perdono. Del terzo parlerò tra poco.
Posso quindi immaginare che a mangiare e a ballare arrivasse gente di Molassana e di Struppa anche se guardandomi intorno tanto spazio per ballare non ne vedo. Ma non devo dimenticare il bosco che oggi è diventato famelico e forse una volta era più discreto.
Via del Perdono. Mi fa venire in mente le processioni. Gente che sale su queste mulattiere pregando e cantando, magari per andare dove stiamo andando noi e cioè alla Croce di San Siro di Struppa.
Ma andiamo con ordine e torniamo al terzo sentiero che parte dai ruderi della nostra antica trattoria e si snoda pianeggiante fino a raggiungere in una decina di minuti le Terre Rosse e il Castelluzzo. AQ2 fa una deviazione e lo percorre avanti e indietro. Terre Rosse è una piccola area composta da rocce e argilla rossa, spoglia dalla vegetazione; il Castelluzzo, a 307 m. di quota, era tra i più antichi baluardi difensivi e risale addirittura alla fine del X secolo. Quello che rimane oggi si limita ad alcuni resti del muro circolare e di quello a pianta quadra che costituivano la fortezza. Il panorama si apre sui monti che coronano la Val Bisagno, sul borgo di Cartagenova e su quello di Pino.
Torniamo alla nostra trattoria. Fausto e Adriana, che non ci hanno seguito in questa deviazione, sono intanto saliti. Il loro compito oggi è quello di prendere nota dei tempi di percorrenza e soprattutto di controllare i segnavia per aggiungerne eventualmente nei punti critici.
L’antica strada, che ha tutta l’aria di aver avuto bisogno di una radicale pulizia da Fausto & C., si snoda nel bosco sulla dorsale che sale da Cartagenova e a tratti è fiancheggiata da muri a secco sui quali spiccano i segnavia bianco-rossi del percorso, a tratti è segnata da pietre piantate perpendicolarmente nel terreno. Insomma l’opera dell’uomo è evidente e continuo a pensare a gente in processione che sale per andare dove sto andando io. Perchè altrimenti si chiamerebbe via del Perdono?
Il bosco si apre e la dorsale diventa prativa, con il mare alle spalle che oggi è di uno splendido blu. Dovremmo essere alla Costa du Giancu.
La Croce di San Siro è vicina e svetta alta nel punto più visibile da Molassana e da Struppa, a 500 metri di quota. La cima invece è 40 metri più in alto. Vicino alla Croce c’è la Cappella di San Siro al Monte Croce, una piccola costruzione che avrebbe bisogno di qualche restauro.
Ah, cosa ci siamo persi! Sabato, all’inaugurazione del sentiero, settantacinque persone hanno partecipato alla Santa Messa celebrata ai piedi della Croce da Don Isidoro.
Non siamo nel punto più alto dell’anello ma sicuramente in quello più suggestivo e panoramico. Da qui si ha chiaro come il monte Montanasco, che è quello dove si trova Sant’Eusebio e dove ci sono la cave, ha costretto il Bisagno a girargli intorno prima di puntare a sud verso il mare. Le prime ginestre fiorite contrastano col verde dei prati e l’azzurro intenso del mare lontano.
Fausto e Adriana ci hanno aspettato e insieme proseguiamo il giro che ora segue una carrareccia che sbuca sulla provinciale per Creto, esattamente alla Curva del Perdono.
A lato della curva riprendiamo il sentiero, che corre sul crinale poco sopra alla provinciale e parallelo a questa, fino a intercettare il quadrato rosso vuoto che sale diretto da Cartagenova e a sbucare poi in via Villini di Creto.
Stiamo per raggiungere il punto più elevato dell’anello che è il Colle del Canile (645 m.). E qui ci fermiamo a mangiare qualcosa.
Dal Colle del canile scendiamo ripidi nel bosco. Il cielo azzurro spunta tra gli alberi che hanno tutte le sfumature del verde.
Una volta il bollo rosso Crocera di Pino-Creto passava di qui mentre ora segue un tracciato più in quota. L’unico segnavia è quindi il nostro: la bandierina bianco rossa e quella rosso-bianco-rossa con la scritta AQ2.
Solo sulla carrareccia, dopo che ci siamo lasciati alle spalle la galleria dell’Acquedotto Val Noci, fanno la loro comparsa il bollo rosso e la X rossa (Righi-Santuario della Vittoria).
Ma per poco perché nella curva dove è presente un traliccio dell’alta tensione intercettiamo il sentiero che ci porterà a Castello di Pino. Grandi pulizie anche su questo sentiero che altrimenti non sarebbe percorribile.
Il segnavia dell’AQ2 ritorna a essere l’unico e merita qualche parola. La scelta dei punti. La considerazione che sulla roccia è più difficile farli perché il colore non prende. Bisogna spazzolarla con una spazzola metallica e pulire le impurità con uno straccio. Disegnare il contorno con una matita grassa. Dipingere l’interno tutto di bianco. Poi di rosso per una metà e magari dare una seconda mano sul bianco. Poi, dove i segni sono con tre bande, scrivere col pennarello AQ2.
Tanto lavoro fa sì che chi lo ha fatto, in questo caso Adriana che gli ha dedicato un mare di tempo e di fatica (insieme a Pina, responsabile della segnatura), ci si affezioni e via via, segno per segno, controlli che non sia sciupato e la vernice sia ancora brillante. Quanta delusione quindi quando ha incontrato qualcuno che il segnavia nella sua proprietà proprio non lo ha voluto e ha preteso che venisse cancellato!
Ormai siamo a Castello di Pino, poi in via Cà di Scarretta col trogolo, poi in Salita San Giacomo. Mattonate che scendono la collina e ci riportano in via Geirato. Fausto e Adriana salgono in macchina, noi risaliamo a Pino.
Una quindicina i chilometri percorsi, un po’ più di 600 metri il dislivello se non consideriamo l’ultimo strappo verso casa, un bell’anello che ancora non conoscevamo.