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10 agosto 2024 Punta Rascià da La Coche (Claviere)
9 agosto 2024 Rifugio Gimont e Cima Bercia da Claviere
8 agosto 2024 Rocce della Sueur dal Colle della Scala (Bardonecchia)
7 agosto 2024 Gorge di San Gervasio dalla Gran Volta (Cesana Torinese)
6 agosto 2024 Ponte Tibetano e Rocca Clarì da Claviere
5 agosto 2024 Forte Janus dalla cabinovia Chalmettes (ritorno a Monginevro)
8 luglio 2018 Chaberton da Monginevro (F)
20 agosto 2008 Chaberton da Clavière (Stefano, Chiara)
15 settembre 2005 Chaberton da Clavière
10 settembre 1997 Chaberton da Clavière

10 agosto 2024 - PUNTA RASCIA’ da La Coche (Claviere)

Stefano, Chiara, Alessandro

Ultima gita della vacanza Claviere alla Punta Rascià, raggiunta tramite il bellissimo Sentiero degli Alpini.
La partenza è da La Coche (m. 1920) che oggi raggiungiamo in macchina e non a piedi. La mulattiera - ampia e risistemata di recente - prende a salire con pendenza regolare un erto pendio incuneandosi tra le rocce; in più punti è sostenuta a valle e protetta a monte da muretti in pietra tutt’oggi ancora ben conservati. Dopo alcuni traversi che portano alla base di una bastionata rocciosa, guadagna rapidamente quota con numerose svolte mentre la vista si apre progressivamente su Cesana, Claviere e Monginevro; sotto di noi sta la Rocca Clarì ammantata di larici e sovrastata dal gigantesco Chaberton.
Guadagnata la sommità della bastionata, la mulattiera procede ora a mezzacosta sul versante orientale della montagna mentre noi, con una breve deviazione a destra, raggiungiamo l’ometto di vetta della Punta Rascià (m. 2346).
Riprendiamo quindi la mulattiera e proseguiamo fino al Colle Bercia (m. 2220) da dove, seguendo uno stradello sterrato tra le piste, scendiamo al Rifugio Gimont (m. 2035). Infine facciamo rientro a La Coche dove ci fermiamo a pranzare nell’omonima baita.
Anche oggi la gita è stata molto carina e ha concluso nel modo migliore la nostra settimana a Claviere che si è rivelata davvero una vacanza ben riuscita.


9 agosto 2024 - RIFUGIO GIMONT e CIMA BERCIA da Claviere

Stefano, Chiara, Alessandro

Il quinto giorno della vacanza a Claviere andiamo al Rifugio Gimont. Partiamo direttamente dall’albergo (m. 1760) e tramite un bellissimo sentiero nel lariceto (che ci permette di evitare la pista da sci) risaliamo la Val Gimont fino a raggiungere l’omonimo rifugio (m. 2035) alle cui spalle si staglia l’imponente e onnipresente piramide dello Chaberton.
Prima di pranzare, mentre Chiara e Alessandro riposano sull’erba, proseguo quasi di corsa rimontando tra prati e larici sempre più radi il versante destro orografico della valle e arrivando sulla Cima Bercia (m. 2298), ottimo punto panoramico. A sud - in terra francese - svetta una copia del Monviso in scala ridotta, ossia il Pic de Rochebrune. Dopo una brevissima sosta, ridiscendo altrettanto velocemente al Rifugio Gimont e tutti insieme ordiniamo da mangiare.
Infine prendiamo la via del ritorno, questa volta seguendo la pista da sci fino a La Coche. La giornata è calda ma l’aria secca quasi ci impedisce di sudare. Sotto La Coche imbocchiamo il sentiero tra i larici che ci riporta giù a Claviere.
E’ in quest’ultimo tratto che Alessandro - infallibile cacciatore di bunker - scopre due casematte di cui una ben mimetizzata nel bosco. Entra in quest’ultima ed esce raggiante con in mano un paio di calzettoni sudici e logori, abbandonati lì chissà da quanto tempo. “Guarda che cosa ho trovato! Le calze dei soldati!”, esclama orgoglioso. Gli lasciamo credere che ciò sia vero ma gli intimiamo anche di riporre subito quel lerciume; a ogni modo non vedrà l’ora di raccontare l’incredibile ritrovamento ai nonni questa sera al telefono.


8 agosto 2024 - ROCCE DELLA SUEUR dal Colle della Scala (Bardonecchia)

Stefano, Chiara, Alessandro

Nel quarto giorno di vacanza a Claviere ci spostiamo con la macchina al Colle della Scala (m. 1762), valico della displuviale alpina tra Nevache e Bardonecchia dove fino al 1947 passava il confine italo-francese.
Qui imbocchiamo il vecchio tracciato militare che prende rapidamente quota in un magnifico lariceto offrendo belle vedute sulla Guglia Rossa (di nome e di fatto) e sulla Valle Stretta. Più in alto gli alberi si diradano e il panorama si apre sul piccolo ma severo massiccio della Guglia di Mezzodì e della Cima della Sueur; dalla parte opposta (oltre alla già citata Guglia Rossa) spicca in lontananza il giallo ocra del Monte Thabor ancora striato da lingue di neve; sotto di noi si distende invece la grande conca di Bardonecchia.
Raggiungiamo così il dorso della Rocce della Sueur dove notiamo subito le postazioni difensive italiane del Vallo Alpino. Dopo l’ultima guerra queste opere militari passarono in territorio francese e vennero parzialmente demolite.
Mentre Chiara si distende sull’erba, io e Alessandro (che oggi indossa la pila frontale) visitiamo un centro di fuoco in calcestruzzo e caverna degli anni trenta il cui interno - un cupo labirinto di cunicoli, scale e casematte - ci appare davvero austero e poderoso. Alessandro è entusiasta e sbalordito e devo insistere non poco per farlo uscire.
Mentre Chiara e Alessandro iniziano a mangiare, io ne approfitto per raggiungere il vicino Colletto del Gui (m. 2250), un bellissimo pianoro erboso sovrastato dalla spettacolare schiera di torrioni della Cima della Sueur. Prima di mangiare accompagno ancora un Alessandro iperattivo dentro un altro centro di fuoco e anche qui è una fatica riportarlo fuori.
In discesa percorriamo lo stesso itinerario e sotto un sole cocente facciamo ritorno al Colle della Scala. Ma non è ancora finita perché Alessandro - ormai cacciatore di bunker – ne scopre un altro proprio vicino al parcheggio dove abbiamo lasciato l’auto; e ovviamente mi è impossibile convincerlo a non entrare.


7 agosto 2024 - GORGE DI SAN GERVASIO dalla Gran Volta (Cesana Torinese)

Stefano, Chiara, Alessandro

Il giorno dopo l’emozionante tragitto nelle Gorge di San Gervasio sopra i ponti sospesi, ritorniamo nella forra della Piccola Dora seguendo - questa volta - lo spettacolare sentiero che ne percorre il fondo incassato tra le pareti rocciose.
La partenza è presso l’ampio tornante (“Gran Volta”) che la statale disegna poco sopra Cesana. Il tempo è bello ma le previsioni danno per certo il passaggio di un temporale subito dopo mezzogiorno e quindi dobbiamo fare in fretta. Il sentiero non presenta difficoltà: solo le passerelle in legno sulla Dora possono risultare un po’ scivolose. Sopra le nostre teste - come una lunga ragnatela - si distendono i cavi, le traversine e i tiranti dei tre ponti tibetani.
Verso la fine della gola, dietro un contrafforte roccioso, ci accoglie il frastuono di un’imponente cascata: una serie di gradoni ci consente di raggiungerne la sommità proprio in corrispondenza dell’ancoraggio di arrivo del secondo ponte. Il sentiero è quasi finito. Con una breve salita a zigzag sbuchiamo sui prati di Claviere.
Mentre Chiara si distende sull’erba a riposare, Alessandro - attivo più che mai - scopre la presenza di un’imponente opera di sbarramento degli anni trenta in calcestruzzo e caverna. Entriamo con cautela e ispezioniamo le gallerie, le casematte e le cannoniere che si aprono a picco sulla strapiombante parete rocciosa sopra la Piccola Dora.
Infine andiamo a fare uno spuntino in uno chalet presso la partenza degli impianti di risalita; appena in tempo perché subito dopo si scatena un veloce ma furioso temporale.


6 agosto 2024 - PONTE TIBETANO e ROCCA CLARI’ da Claviere

Stefano, Alessandro

Il “pezzo forte” della vacanza a Claviere è stata l’avventura del ponte tibetano, costituito da una successione di tre ponti sospesi su cavi d'acciaio che attraversano in senso trasversale e longitudinale le Gorge di San Gervasio sul cui fondo scorre la Piccola Dora.
L’accesso al ponte (che è tra i più lunghi del mondo) avviene partendo dalla biglietteria presso la rotonda della statale che sale da Cesana, proprio all’ingresso dell’abitato di Claviere: qui io e Alessandro veniamo imbragati dalle guide e dopo una breve spiegazione imbocchiamo da soli il sentiero che passa accanto alla Cappella di San Gervasio. Chiara ha rinunciato in anticipo a partecipare a questa “avventura” e rimane ad attenderci sul piazzale della biglietteria.
In una quindicina di minuti di ripida discesa giungiamo alla piccola capanna di appoggio posizionata all’imbocco del primo ponte e, dopo aver agganciato i moschettoni, muoviamo i nostri primi incerti passi sopra la gola alta settanta metri. All’inizio - è inutile negarlo - si prova un senso di angoscia e di trepidazione: il grande vuoto sotto i piedi fa impressione. Poi piano piano ci si rilassa e si acquista il giusto ritmo. Alessandro, che sta davanti a me, è bravissimo nel gestire e superare la comprensibile fifa iniziale.
Il secondo ponte (lungo quasi mezzo chilometro) segue in senso longitudinale il corso della forra a un’altezza di circa trenta metri sopra la Piccola Dora ed è composto da più campate sostenute in aria da tiranti trasversali.
Infine un breve tratto di sentiero a zigzag conduce al terzo ponte, quest’ultimo visibile anche dal soprastante piazzale. Chiara ci osserva sbalordita mentre attraversavamo la gola a quasi cento metri da terra. “Sei stato veramente coraggioso, io mai e poi mai ci sarei riuscita”, dice ad Alessandro arrivato emozionato e raggiante.
Ritornati a Claviere decidiamo di andare a pranzare alle baite di La Coche (m. 1924), una splendida conca erbosa circondata da boschi di larici e raggiungibile in poco più di mezz’ora di sentiero. Dopo mangiato Chiara e Alessandro si mettono a riposare sulle sdraio del rifugio mentre io salgo velocemente alla Rocca Clarì (m. 2051), un’elevazione che si affaccia sulla Piccola Dora con un’alta e ripida parete rocciosa e su cui si trovano i ruderi di un presidio della Guardia alla Frontiera.
Dopo essere ridisceso a La Coche per un altro sentiero, tutti insieme facciamo ritorno a Claviere archiviando con piena soddisfazione anche questa seconda giornata di vacanza.


5 agosto 2024 - FORTE JANUS dalla cabinovia Chalmettes (ritorno a Monginevro)

Stefano, Chiara, Alessandro

Settimana di vacanza a Claviere con tempo quasi sempre bello e temperature decisamente elevate. Abbiamo camminato tutti i giorni scoprendo in tal modo che oltre al classico Chaberton - sul quale peraltro non siamo saliti - esiste una varietà di itinerari, di cime e di valloni davvero ragguardevole.
Il Forte Janus è la meta della nostra prima escursione: appollaiato sulla cresta di Château Jouan, domina l’ampia conca del Monginevro e visto da Claviere assomiglia a uno Chaberton in scala leggermente ridotta.
Lo Janus è il forte più alto della ex piazza militare di Briançon ed è anche il più avanzato verso il confine italiano. Ebbe il battesimo del fuoco nel giugno 1940 quando venne preso di mira dai cannoni dello Chaberton che lo sovrastava di quasi seicento metri. La torretta blindata di un osservatorio porta ancora la scalfittura del rimbalzo di una granata italiana.
Noi partiamo dalla stazione di arrivo della seggio-cabinovia Chalmettes (m. 2135) e per piste, prati e sentiero guadagniamo la dorsale dalla quale ci si affaccia sulla conca di Briançon. Da qui un’ardita strada militare risale il fianco scosceso e franoso della montagna fino a raggiungere l’ottocentesca costruzione in pietra (m. 2529) gravemente danneggiata dai colpi dello Chaberton. Tramite breve e facile cresta salgo ulteriormente in pochi minuti alla Sommet de Château Jouan (m. 2565); poi io e Alessandro - mentre Chiara riposa - giriamo in lungo e in largo per osservare tutte le imponenti strutture difensive realizzate a più riprese tra il 1886 e il 1937.
Al ritorno, anziché andare a riprendere la seggio-cabinovia, scendiamo direttamente fino a Monginevro (m. 1820) concludendo al meglio, sotto un sole bruciante, la nostra prima gita.


8 luglio 2018 - M. CHABERTON da Monginevro (F)

Stefano

Destinazione decisa all’ultimissimo istante, addirittura dopo la sbarra del Telepass di Masone: partito con l’idea di andare nelle Marittime, ho virato per la rampa di Alessandria pochi metri prima del divisorio. Nuova destinazione il Monte Chaberton, sulla cui cima spianata a colpi di mina e di piccone sorge la fortezza più alta d’Europa: un nido d’aquila cupo e minaccioso se lo si guarda dalla vallata della Dora; una sorta di “castello dell’Innominato” e una minaccia persistente alla sicurezza della propria terra, per gli abitanti di Briancon della prima metà del secolo scorso.
Appena passata la frontiera del Monginevro (ostentatamente presidiata dalla Gendarmeria e dalla Police Nationale), lascio l’auto lungo la stradina che conduce al “Village du Soleil” (m. 1880) e mi incammino (ore 7.15) lungo una bella sterrata che risale tra larici e pini silvestri il Vallone delle Basse sulla destra idrografica del Rio Secco (di nome e di fatto!).
Presso un grande ripiano dove è visibile la partenza di una seggiovia (m. 2130), imbocco sulla destra una traccia che attraversa il letto asciutto del torrente e che sale all’ex Ricovero delle Sette Fontane (m. 2253): dico “ex” perché di questo ricovero, nato in origine come rifugio militare, resta solo il basamento in calcestruzzo dopo che una valanga, nel nevosissimo inverno 2008/2009, lo spazzò completamente via. Tutto il vallone è ancora in ombra e ciò mi permette di salire velocissimo su per l’erto sentiero che con una lunghissima serie di tornanti raggiunge il crinale all'altezza dell'ampio Colle dello Chaberton (m. 2671, ore 8.35).
Al valico si incontra la “Strada Militare di Val Morino”, costruita tra il 1896 e il 1898 per collegare il fondovalle della Dora Riparia alla nascente batteria dello Chaberton. Attualmente è asfaltata fino al villaggio di Fenils e poi sterrata in buone condizioni fino alle Grange Pra Claud; da qui in avanti è tassativamente chiusa al transito per qualsiasi mezzo a motore dal 1987. Anziché la comoda carrareccia (in verità ormai ridotta a semplice mulattiera) seguo il tracciato del “Trofeo Monte Chaberton”, corsa podistica tenutasi lo scorso 24 giugno. Il percorso della gara sale dritto come una lama di coltello lungo la linea di massima pendenza; in alcuni tratti è ripidissimo, quasi scosceso; in compenso permette di evitare alcuni tratti di mulattiera ancora coperti da nevai; inoltre è talmente redditizio che alle 9.15 mi ritrovo già sulla grande scudatura rocciosa (m. 3130), leggermente inclinata sul lato di Briancon, che costituiva l’unica protezione della batteria.
Sopra le torri in muratura alte circa 8 metri poggiavano cupole di acciaio completamente girevoli, armate con cannoni da 149 e dotate di una corazza leggera il cui spessore variava dai 5 cm della parte anteriore, ai 2,5 cm del tetto, fino agli 1,5 cm delle parti laterali e posteriore: in alcuni punti avrebbe potuto essere perforata persino da un colpo di mitraglia e serviva dunque soltanto a proteggere i serventi dalle schegge di granata.
Quello che più colpisce della struttura è la totale inadeguatezza a incassare colpi, come se la possibilità di essere centrati dal tiro nemico fosse un’eventualità più inconcepibile che remota. Tutto si basava sulla certezza assoluta che nessuna arma a tiro curvo potesse tirare con efficacia contro un obiettivo posto a così grande altezza: da qui il mito di inespugnabilità dello Chaberton, “il forte più elevato d’Europa e il più elevato luogo abitato tutto l’anno”. Questa convinzione, che poteva rivelarsi valida nei primi anni del Novecento quando fu costruito, sfumò rapidamente nel volgere di un decennio e già al termine della Grande Guerra la Batteria dello Chaberton venne definita “una bella donna sfiorita troppo in fretta”. Negli anni Trenta si pensò di trasferire il forte in caverna ma il progetto venne poi accantonato per gli eccessivi costi di realizzazione. E così si arrivò al 10 giugno 1940 quando, malgrado fosse ormai palesemente inadeguato a sostenere un combattimento contro le moderne artiglierie, venne ugualmente chiamato al battesimo del fuoco.
La stazione di arrivo della teleferica “Grande Potenza” fu la prima opera del forte a essere centrata; questa arditissima teleferica, che partiva dalla riva della Dora presso Cesana, copriva un dislivello di ben 1785 metri e funzionava a moto continuo, con carrelli che in stazione si agganciavano e si sganciavano dalla fune traente.
E ora, dopo tanta storia, uno sguardo anche al magnifico panorama verso le grandi montagne del Delfinato e della Savoia: una lunga processione di cime imponenti delle quali purtroppo, in tutta onestà, ignoro il nome e la collocazione.
Il ritorno lo effettuo ovviamente per lo stesso itinerario di salita. Mentre all’andata il percorso fino al colle era tutto in ombra, adesso il sole illumina e colora questa bella vallata che fino al 1947 era completamente italiana: una delle tante valli delle Alpi Occidentali perdute e passate alla Francia che ci fece pagare assai cara la famigerata “pugnalata alle spalle”. Una pugnalata, mi verrebbe da aggiungere, inferta “coi guanti gialli” e col “pugnale di gomma”: lo Chaberton, tanto per dire, non sparò un solo colpo contro la cittadina di Briancon. I Francesi poi non persero tempo a modificare la toponomastica delle loro “conquiste” e così il Vallone delle Basse diventò immediatamente il Vallon des Baisses.
Con questi pensieri in testa e con un po’ di sano patriottismo in corpo, percorro l’ultimo tratto di discesa, bellissimo, tra larici, abeti e prati verdissimi. Arrivo alla macchina poco prima di mezzogiorno (ore 11.55). Mi giro all’indietro e alzo lo sguardo verso il cielo: è veramente la “fortezza delle nuvole”!


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