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8 luglio 2018 da Monginevro (F)
20 agosto 2008 da Clavière (Stefano, Chiara)
15 settembre 2005 da Clavière
10 settembre 1997 da Clavière

8 luglio 2018 - M. CHABERTON da Monginevro (F)

Stefano

Destinazione decisa all’ultimissimo istante, addirittura dopo la sbarra del Telepass di Masone: partito con l’idea di andare nelle Marittime, ho virato per la rampa di Alessandria pochi metri prima del divisorio. Nuova destinazione il Monte Chaberton, sulla cui cima spianata a colpi di mina e di piccone sorge la fortezza più alta d’Europa: un nido d’aquila cupo e minaccioso se lo si guarda dalla vallata della Dora; una sorta di “castello dell’Innominato” e una minaccia persistente alla sicurezza della propria terra, per gli abitanti di Briancon della prima metà del secolo scorso.
Appena passata la frontiera del Monginevro (ostentatamente presidiata dalla Gendarmeria e dalla Police Nationale), lascio l’auto lungo la stradina che conduce al “Village du Soleil” (m. 1880) e mi incammino (ore 7.15) lungo una bella sterrata che risale tra larici e pini silvestri il Vallone delle Basse sulla destra idrografica del Rio Secco (di nome e di fatto!).
Presso un grande ripiano dove è visibile la partenza di una seggiovia (m. 2130), imbocco sulla destra una traccia che attraversa il letto asciutto del torrente e che sale all’ex Ricovero delle Sette Fontane (m. 2253): dico “ex” perché di questo ricovero, nato in origine come rifugio militare, resta solo il basamento in calcestruzzo dopo che una valanga, nel nevosissimo inverno 2008/2009, lo spazzò completamente via. Tutto il vallone è ancora in ombra e ciò mi permette di salire velocissimo su per l’erto sentiero che con una lunghissima serie di tornanti raggiunge il crinale all'altezza dell'ampio Colle dello Chaberton (m. 2671, ore 8.35).
Al valico si incontra la “Strada Militare di Val Morino”, costruita tra il 1896 e il 1898 per collegare il fondovalle della Dora Riparia alla nascente batteria dello Chaberton. Attualmente è asfaltata fino al villaggio di Fenils e poi sterrata in buone condizioni fino alle Grange Pra Claud; da qui in avanti è tassativamente chiusa al transito per qualsiasi mezzo a motore dal 1987. Anziché la comoda carrareccia (in verità ormai ridotta a semplice mulattiera) seguo il tracciato del “Trofeo Monte Chaberton”, corsa podistica tenutasi lo scorso 24 giugno. Il percorso della gara sale dritto come una lama di coltello lungo la linea di massima pendenza; in alcuni tratti è ripidissimo, quasi scosceso; in compenso permette di evitare alcuni tratti di mulattiera ancora coperti da nevai; inoltre è talmente redditizio che alle 9.15 mi ritrovo già sulla grande scudatura rocciosa (m. 3130), leggermente inclinata sul lato di Briancon, che costituiva l’unica protezione della batteria.
Sopra le torri in muratura alte circa 8 metri poggiavano cupole di acciaio completamente girevoli, armate con cannoni da 149 e dotate di una corazza leggera il cui spessore variava dai 5 cm della parte anteriore, ai 2,5 cm del tetto, fino agli 1,5 cm delle parti laterali e posteriore: in alcuni punti avrebbe potuto essere perforata persino da un colpo di mitraglia e serviva dunque soltanto a proteggere i serventi dalle schegge di granata.
Quello che più colpisce della struttura è la totale inadeguatezza a incassare colpi, come se la possibilità di essere centrati dal tiro nemico fosse un’eventualità più inconcepibile che remota. Tutto si basava sulla certezza assoluta che nessuna arma a tiro curvo potesse tirare con efficacia contro un obiettivo posto a così grande altezza: da qui il mito di inespugnabilità dello Chaberton, “il forte più elevato d’Europa e il più elevato luogo abitato tutto l’anno”. Questa convinzione, che poteva rivelarsi valida nei primi anni del Novecento quando fu costruito, sfumò rapidamente nel volgere di un decennio e già al termine della Grande Guerra la Batteria dello Chaberton venne definita “una bella donna sfiorita troppo in fretta”. Negli anni Trenta si pensò di trasferire il forte in caverna ma il progetto venne poi accantonato per gli eccessivi costi di realizzazione. E così si arrivò al 10 giugno 1940 quando, malgrado fosse ormai palesemente inadeguato a sostenere un combattimento contro le moderne artiglierie, venne ugualmente chiamato al battesimo del fuoco.
La stazione di arrivo della teleferica “Grande Potenza” fu la prima opera del forte a essere centrata; questa arditissima teleferica, che partiva dalla riva della Dora presso Cesana, copriva un dislivello di ben 1785 metri e funzionava a moto continuo, con carrelli che in stazione si agganciavano e si sganciavano dalla fune traente.
E ora, dopo tanta storia, uno sguardo anche al magnifico panorama verso le grandi montagne del Delfinato e della Savoia: una lunga processione di cime imponenti delle quali purtroppo, in tutta onestà, ignoro il nome e la collocazione.
Il ritorno lo effettuo ovviamente per lo stesso itinerario di salita. Mentre all’andata il percorso fino al colle era tutto in ombra, adesso il sole illumina e colora questa bella vallata che fino al 1947 era completamente italiana: una delle tante valli delle Alpi Occidentali perdute e passate alla Francia che ci fece pagare assai cara la famigerata “pugnalata alle spalle”. Una pugnalata, mi verrebbe da aggiungere, inferta “coi guanti gialli” e col “pugnale di gomma”: lo Chaberton, tanto per dire, non sparò un solo colpo contro la cittadina di Briancon. I Francesi poi non persero tempo a modificare la toponomastica delle loro “conquiste” e così il Vallone delle Basse diventò immediatamente il Vallon des Baisses.
Con questi pensieri in testa e con un po’ di sano patriottismo in corpo, percorro l’ultimo tratto di discesa, bellissimo, tra larici, abeti e prati verdissimi. Arrivo alla macchina poco prima di mezzogiorno (ore 11.55). Mi giro all’indietro e alzo lo sguardo verso il cielo: è veramente la “fortezza delle nuvole”!


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