24 giugno 2023 - ROCCA DELLA MARASCA (sperone N-O) e LAGO DELLA CAICIA da Martina (ritorno a Tiglieto)
Stefano, Roberto
Lunga traversata con Roberto tra i boschi e i torrenti delle valli d’Orba, del Rosto e del Baracca, con partenza da Martina (m. 490, ore 8) e con ritorno a Tiglieto (m. 500, ore 15:30).
La prima parte della gita è imperniata sulla salita allo sperone nord-ovest della Marasca (segnavia: due crocette gialle fino alle pendici della rocca e poi tre pallini gialli); una salita che presenta due passaggi leggermente impegnativi (EE/F il primo e F il secondo): si tratta in sostanza della tipica cima - peraltro suggestiva e panoramica (m. 910) - evitata dagli escursionisti e sconosciuta a quelli cui piace arrampicare.
Dopo la Rocca della Marasca effettuiamo un lungo e inevitabile trasferimento su asfalto dalla sella dei Roncazzi fin giù ad Acquabianca. La giornata è calda e asciutta, leggermente ventilata: sudiamo pochissimo. Guadato il Rosto, saliamo a visitare la grande neviera di Gattazzè e la caratteristica cappella circolare (m. 710) da poco restaurata con grande maestria.
Ridiscesi per lo stesso itinerario e ripassato il Rosto, seguiamo adesso un sentiero pianeggiante che sbuca in Via Vernin, tra il cimitero di Acquabianca e il laghetto della Chiusa. Alla Chiusa sostiamo brevemente sull’assolata spiaggetta per poi imboccare la mulattiera che risale l’incontaminata Val Baracca. I tre pallini gialli ci portano al lago verde smeraldo della Caicia (m. 625), con la sua stupenda cascata che sgorga copiosa da uno scivolo scavato nella roccia.
Al ritorno passiamo per la cappellina della Madonna di Loreto, per le case della Ferriera e per la Colla Minetti: qui prendiamo la mulattiera (segnavia: triangolo giallo) che conduce direttamente a Tiglieto, dove giungiamo belli cotti dopo 7 ore e mezza di cammino e oltre 25 km percorsi.
2 giugno 2023 - CASCATA DELLA CAICIA e GIRO DEL BRIC DEL PORCO dalla Ferriera (Tiglieto)
Stefano
Anello inedito tra la Val Baracca e la Valle del Rosto passando per il laghetto verde smeraldo nel quale si tuffa la spettacolare cascata della Caicia. Parto a mezzogiorno in punto dalla Ferriera tra Tiglieto e Acquabianca sotto un bel sole estivo ma con il minaccioso e ormai consueto brontolio di tuoni in lontananza.
Superata la cappellina della Madonna di Loreto scendo a guadare il Rio Baracca per immettermi sul sentiero segnato con i tre pallini gialli che conduce al Lago della Caicia (o della Coicia, come riportato nella tabella segnaletica).
Il luogo è incantevole, sperduto, profondamente selvaggio: sopra il salto della cascata l’acqua viene convogliata dalle rocce levigate all’interno di un grande scivolo a forma di imbuto che ricorda un po’ le attrazioni dei parchi acquatici: c’è da restare ammirati di fronte a queste creazioni della natura.
Ritornato sul sentiero che taglia a mezzacosta il fianco sinistro della vallata, lo percorro in salita (nessun segnavia) disegnando un cerchio tutto intorno al Bric del Porco. Raggiungo così un’ampia sella prativa tra la Val Baracca e la Valle del Rosto dove intercetto la mulattiera segnata con il triangolo giallo che scende verso Acquabianca.
Passo davanti al gigantesco tasso secolare (conosciuto anche come “albero della morte” per la sua forte tossicità) e poco sotto raggiungo la cappella di Gattazzè, da poco riportata al suo stato originario grazie a un lavoro di restauro davvero eccellente. Continuando a scendere nell’ombreggiata faggeta arrivo al guado sul Rosto dove a breve sarà fruibile il grazioso ponticello di legno oramai praticamente ultimato.
Sulla sponda sinistra imbocco una mulattiera che procede pianeggiante fino a Cà del Rosto e successivamente - con dolci saliscendi - arriva a incrociare Via Vernin sotto Acquabianca.
Il giro è quasi finito: attraverso il Carpescio presso il laghetto della Chiusa e alle tre del pomeriggio sono di ritorno alla Ferriera, da dove è ben visibile il Bric del Porco intorno al quale oggi ho camminato. Nel frattempo il sole ha respinto le nubi più minacciose e il consueto acquazzone pomeridiano oggi non c’è stato: il borbottio di un lontano temporale si trascina ancora stancamente ma sempre più sommesso.
27 maggio 2023 - LAGHETTO DELLA CHIUSA da Tiglieto
Stefano, Alessandro
Gitarella pomeridiana con Alessandro approfittando della bella e calda giornata di sole (finalmente!).
Partiti da Tiglieto subito dopo pranzo, abbiamo seguito il triangolo giallo in direzione della Colla Minetti. Ovunque vi è un’esplosione di verde e di profumi intensi, con l’erba che in alcuni punti supera la testa di Alessandro.
Raggiunta la Colla Minetti percorriamo per un breve tratto la strada fino alle case della Ferriera; quindi per mulattiera proseguiamo fino alla cappellina di Loreto. Il sottostante guado del Rio Baracca non è semplice e sia io che Alessandro finiamo con i piedi a mollo: alla faccia della siccità!
Dopo due orette di cammino siamo alla Chiusa, alla confluenza dei torrenti Rosto e Baracca: qui Alessandro mette in acqua il suo nuovo motoscafo telecomandato e per una buona mezz’ora si diverte a farlo girare in lungo e in largo nel lago. Fa caldo - un caldo gradevole - e si respira una bella atmosfera di inizio estate.
Viene il momento di tornare a casa e siccome non abbiamo più voglia di risalire il Baracca fino al guado, optiamo per un attraversamento “a viva forza” dove l’acqua ci sembra più bassa. Alessandro parte risoluto ma ben presto rallenta sentendo l’acqua fredda inondare gli scarponcini: si ferma, annaspa un po’, si lamenta e giunge sull’altra sponda inzuppato fin quasi alle mutande. Anche io ne esco “malconcio”: e così telefoniamo a Chiara perchè ci venga a prendere in macchina alla Ferriera: però ci siamo divertiti!
22 aprile 2023 - CAPPELLA DELLA GATTAZZE’ da Acquabianca
Stefano, Chiara, Alessandro
Oggi io, Chiara e Alessandro ci siamo aggregati al gruppo organizzato da Serena Siri per una visita guidata al nucleo storico di Gattazzè sopra Acquabianca.
La partenza è dalla chiesa del paese (m. 646) e dopo una breve salita alla Colla di Acquabianca (m. 675) scendiamo giù nella Valle del Rosto tra gli alberi che stanno mettendo le prime foglie fino a raggiungere il torrente. Qui sta per essere ultimato un bellissimo ponte pedonale che permetterà di evitare il guado del Rosto (m. 585), piuttosto difficoltoso soprattutto in primavera e in autunno. Tutta la comitiva passa a viva forza sull’altra sponda con encomiabile spirito di sacrificio e risale il versante opposto all’ombra di una verdissima faggeta. I bambini si divertono e il gruppo procede compatto e disciplinato affrontando con allegria le piccole insidie del terreno.
Al bivio di Casa Batin (m. 678, dove si incontra il triangolo giallo proveniente dal Lago della Chiusa) facciamo una breve sosta: Serena ci spiega che quando in estate i Marchesi Raggi si trasferivano nel loro Palazzo di Caccia a Gattazzè, tutte le cascine sparse qui intorno si popolavano di contadini e di boscaioli che lavoravano al loro soldo (i Raggi erano proprietari di una vastissimo territorio che comprendeva anche la Badia di Tiglieto).
Ancora cinque minuti di cammino e siamo arrivati. Serena ci guida giù per una breve deviazione a visitare la neviera, ripulita e opportunamente recintata: si tratta - né più né meno - di un immenso frigorifero dove la neve si conservava tutto l’anno e dove in estate venivano riposte le provviste necessarie al mantenimento del gran numero di persone che quassù soggiornavano.
Arriviamo così alla Cappella della Gattazzè (m. 710) con la sua caratteristica struttura circolare: era ormai in rovina, stremata dal tempo e insidiata dal bosco avanzante, quando lo scorso anno è stata completamente restaurata con grande maestria, con lo spazio tutt’intorno recuperato a prato.
Serena ci racconta un po’ di storia. Siamo agli inizi del Settecento quando prende il via lo sviluppo del nucleo abitativo di Gattazzè, di cui il Palazzo di Caccia dei Raggi diventerà il punto di riferimento e di legame con la Badia di Tiglieto. Ma sul finire dell'Ottocento i tempi cambiano: le ferriere di fondovalle si spengono, le nuove strade non affrontano più di petto la montagna. Per Gattazzè, nata sul percorso di una delle più importanti vie del sale e del ferro, è l'inizio del declino. Infine un incendio improvviso e violentissimo, scoppiato in una notte dell’estate 1968, decreta per sempre la sua fine.
I bambini non ascoltano, fanno merenda e giocano. Alle loro spalle, malinconici e testimoni di un lontano passato, spuntano i ruderi del Palazzo di Caccia divorato dal fuoco: la forza invisibile della selva dell'Orba li racchiuderà per sempre nel suo verde abbraccio.
Io, indisposto da un forte raffreddore, torno ad Acquabianca un po’ prima degli altri. Chiara e Alessandro mi raggiungeranno a casa più tardi con gli scarponi fradici (il Rosto non ha avuto pietà) ma soddisfatti di aver partecipato a questa bella escursione tra storia e natura.
16 aprile 2023 - ROCCA DELLA MARASCA (sperone N-O) da Martina Olba
Stefano
Rapida sgambata (a tratti a passo di corsa) allo sperone nord-ovest della Rocca della Marasca, la bella piramide rocciosa che offre una veduta completa del territorio di Urbe.
Parto da Martina (m. 490, ore 15.15) nel pomeriggio di una tiepida e radiosa giornata primaverile e in una manciata di minuti raggiungo la panchina gigante posizionata su un poggio panoramico dinnanzi al paese. Sull’antica mulattiera del Maraschino, in molti tratti ancora perfettamente lastricata, sono tornate le due crocette gialle dello storico itinerario F.I.E. Martina Olba-Passo del Faiallo che molti anni fa, per uno smottamento del tratto iniziale, vennero deviate sulla vicina strada comunale; inoltre, alla partenza e a ogni bivio, sono state posizionate nuovissime tabelle direzionali.
Dopo le ultime case del Maraschino, la mulattiera acciottolata si insinua con pendenza moderata nel vallone del Rio della Notte. Poco prima di raggiungere e di attraversare il corso d’acqua, si incontra un evidente crocevia (m. 785): abbandono le crocette gialle dirette ai Roncazzi e imbocco sulla destra il sentiero segnato con tre pallini gialli (ridipinti di recente) che procede nella direzione opposta in leggerissima ascesa. Nei pressi di una vecchia cascina i tre pallini gialli sbucano sulla comunale di Vassuria in località Sotto Rocca (m. 792) e la seguono in salita per due o trecento metri; dopodichè si addentrano a sinistra nel bosco.
Inizia ora la parte più avventurosa. Al culmine di una rampa molto ripida, si incontra un “sottopasso” creato da un macigno incuneato tra due rocce: occorre quasi strisciare al suo interno per poi uscirne fuori con facile arrampicata (difficoltà EE/F). Poco dopo si deve affrontare il passaggio più ostico che consiste nel superare un salto di un paio di metri all’interno di una grande spaccatura tra due roccioni (difficoltà F/F+): essendo questo tratto sempre in ombra è possibile trovare la roccia un po’ umida, per cui occorre prestare la massima attenzione.
Il piacevole tepore del sole e un bel cielo luminoso mi accolgono sullo sperone nord-ovest della Rocca della Marasca (m. 910, ore 16.15) che domina tutta l’alta vallata del fiume Orba e in particolar modo Martina, il paese dal quale sono partito.
In discesa seguo lo stesso itinerario e in meno di un’ora arrivo giù alla macchina. Il percorso è breve ma è molto bello e la cima merita sicuramente di essere salita (con la dovuta attenzione!).
30 ottobre 2022 - ROCCA DELLA MARASCA (sperone N-O) da Martina Olba
Stefano
Oggi sgambata allo sperone N-O della Rocca della Marasca per il vallone del Rio della Notte. Parto da Martina Olba (m. 484) nella tarda mattinata e in pochi minuti raggiungo la panchina gigante posizionata su un terrazzino panoramico proprio in faccia al paese.
A pochi metri da qui passa il vecchio tracciato F.I.E. Martina-Faiallo segnato con due crocette gialle ormai stinte. Questo tratto di mulattiera - che è in condizioni perfette - venne abbandonato dalla F.I.E. molti anni fa a seguito di un movimento franoso che interessò la scarpata iniziale sopra il ponticello di Martina sul Rio della Notte; le crocette gialle vennero allora deviate lungo la stradina asfaltata del Maraschino. Adesso, con l’apertura del nuovo sentiero per la panchina gigante che permette di evitare la zona franosa, si potrebbe ripristinare il percorso originario sicuramente molto più interessante del monotono asfalto.
Dopo le ultime case del Maraschino l’antica mulattiera acciottolata, a tratti quasi perfettamente conservata, si insinua con pendenza moderata nell’ombreggiato vallone del Rio della Notte. Poco prima di raggiungere e di attraversare il corso d’acqua, si incontra sulla destra un bivio evidente: abbandono le crocette gialle per prendere un’altra mulattiera segnata con tre pallini gialli che procede in direzione praticamente opposta in leggerissima ascesa. Nei pressi di un’antica casa i tre pallini gialli raggiungono la comunale San Pietro d’Olba-Vassuria e la percorrono in salita per qualche centinaio di metri; dopodichè si rituffano a sinistra nel bosco.
Inizia ora la parte più avventurosa. Si incontra dapprima una sorta di “sottopasso” creato da un macigno incuneato tra due rocce: occorre quasi strisciare al suo interno per poi uscirne con facile arrampicata (difficoltà EE/F). Infine si deve affrontare un passaggio un po’ più ostico all’interno di una grossa spaccatura nella roccia (difficoltà F): superato con attenzione anche questo tratto si posa finalmente piede sullo sperone N-O della Rocca della Marasca (m. 910), cuspide rocciosa rivolta a occidente che vigila dall’alto su San Pietro e su Martina.
In discesa seguo lo stesso itinerario e nel primo pomeriggio sono di ritorno a Martina dove c’è un caldo oggettivamente atipico che a molti fa storcere il naso: per conto mio, considerato il costo attuale di gas e pellet, non ne sono per nulla dispiaciuto!
22 maggio 2022 - LAGO E CASCATA DELLA CAICIA dalla località Ferriera (Tiglieto)
Stefano, Chiara, Alessandro
Sono tornato nuovamente al Lago della Caicia per farlo conoscere anche a Chiara e ad Alessandro, prima che la pesante siccità guasti l’incanto di questo magnifico luogo. Alessandro ha voluto portare un retino da pesca e del pane secco per esca, e non vede l’ora di arrivare.
L’alluvione del 4 ottobre 2021 ha riempito di detriti il Lago della Chiusa al punto tale che il guado sul Carpescio, impresa temeraria fino all’anno scorso con i piedi che finivano regolarmente a mollo, si affronta ora in piena tranquillità.
Risaliamo la recondita Val Baracca seguendo i nuovi segnavia fino a toccare, al termine di una ripida discesa, la sponda del torrente e a raggiungere, alcune centinaia di metri più a monte, l'incantevole specchio d'acqua color smeraldo.
Inizia la pesca e ci accorgiamo subito che i pesci della Caicia sono molto furbi: mangiano il pane ma non si avvicinano quel tanto che basta per finire nella rete. Non è nostra intenzione sacrificarli e una volta presi li lasceremmo subito liberi; però ne va del nostro orgoglio e almeno uno dobbiamo acchiapparlo. Mi chino sempre più in avanti allungando il braccio per quanto mi è possibile ma non c’è nulla da fare: i pesciolini arrivano e si fermano sempre a pochi centimetri dal retino come se avessero preso le misure esatte del bastone. Il pane al di là della loro linea di sicurezza lo divorano, quello al di qua lo ignorano. Mi chino ancor di più in avanti in uno ultimo sforzo decisivo e ... patapunfete! ... finisco in acqua fin sopra le ginocchia! Le persone sulla spiaggetta ridono mentre riguadagno affannosamente riva. Che figura da babbeo! Passo il retino ad Alessandro e decido di ripristinare immediatamente la mia onarabilità andando a esplorare la parte superiore della cascata.
La salita - sulla destra idrografica - è ripidissima, su terreno erboso fortemente scosceso: occorre prestare molta attenzione ed è da evitare nel modo più assoluto con l’erba bagnata. Dalla sommità dei roccioni che fanno da corona al lago, vedo Alessandro tirare le pietre in acqua: dopo essere finito a mollo pure lui (solo con gli scarponi) ha pensato bene di chiudere con la pesca. Da quassù le visione della cascata è ancora più suggestiva: l’acqua ha scavato uno scivolo nella roccia sotto un immenso masso incastrato creando una vera opera d’arte!
Al ritorno, anziché scendere fino alla Chiusa, guadiamo il Baracca presso un bel laghetto e sbuchiamo su una sterrata ormai inerbita - ridotta a poco più di mulattiera - che corre sopra la sponda opposta. Di fronte alla Cappella della Madonna di Loreto, Alessandro ci scatta una bella foto.
E’ stata una passeggiata avventurosa e movimentata, e Alessandro si è divertito tanto benchè neppure un minuscolo pesciolino sia finito nel suo bel retino.
15 maggio 2022 - ROCCA DELLA MARASCA (sperone N-O) e LAGO DELLA CAICIA da San Pietro d’Olba (ritorno a Tiglieto)
Stefano
Parto da San Pietro d’Olba (m. 526, ore 9.40) in una “radiosa giornata di maggio” (per dirla alla D’Annunzio) e, attraversato l’Orba sull’antico ponte in pietra, salgo per la bella mulattiera selciata (segnata con il cerchio giallo) che fino agli inizi del Novecento costituiva l’unica via di comunicazione verso il mare.
Quando la mulattiera termina definitivamente sulla comunale di Vassuria, percorro l’asfalto in discesa per alcune decine di metri fino a incontrare il nuovo segnavia (tre pallini gialli) che porta in punta allo sperone N-O della Rocca della Marasca. La salita è avventurosa: si deve strisciare dapprima all’interno di un buco formato da un macigno incuneato tra due rocce e successivamente arrampicare in un camino ben incassato (difficoltà F), all’uscita del quale si posa piede sulla crestina di vetta (m. 910 ore 11.10). Questa prua rocciosa volta a occidente, sulla quale stanno il vessillo nazionale e una massiccia croce di legno, emerge sopra un mare di faggi verdissimi.
Dopo esser sceso per la medesima via e aver deviato a destra per un breve tratto fuori sentiero, imbocco una mulattiera (tre pallini gialli) che entra a mezzacosta nell’ombrosa valle del Rio della Notte. Poco prima del guado incontro le due crocette gialle provenienti da Martina: le seguo dentro un bellissimo bosco di faggi e sbuco in località Roncazzi (m. 870 circa) sulla strada che collega Acquabianca a Vara Superiore.
In tre chilometri di asfalto arrivo ad Acquabianca (m. 643); oltrepasso il paese e prima del cimitero imbocco a destra Via Vernin che, dopo una ripida discesa, termina presso il laghetto della Chiusa (ore 13) alla confluenza dei torrenti Rosto e Baracca.
Al di là del guado sul Rosto iniziano i nuovi segnavia per il Lago della Caicia. Un’antica mulattiera - probabilmente diretta alla Gattazzè - risale a mezzacosta il fianco sinistro dell’incontaminata Val Baracca finchè, a un bivio, la si abbandona per seguire in discesa un sentierino che porta a guadare il Rio Baracca. I tre pallini gialli percorrono quindi il letto del torrente sulla sponda destra idrografica, superano una spalla rocciosa piuttosto impervia e scendono infine sulla sponda del Lago della Caicia (m. 625, ore 13.40), un incantevole specchio d’acqua color smeraldo impreziosito da una cascata che sgorga copiosa da uno “scivolo” scavato nella roccia sotto un enorme masso incastrato.
Al ritorno, anziché scendere fino alla Chiusa, attraverso il Baracca in corrispondenza di un bel laghetto e raggiungo la soprastante mulattiera presso la Cappella della Madonna di Loreto. Passo per la località Ferriera (m. 529), per la Colla Minetti (m. 552), scendo a guadare il Rio Gerla e, seguendo il triangolo e il pallino barrato gialli, faccio ritorno a casa (Tiglieto, ore 15.30), concludendo un’inedita traversata di luoghi appartati e selvaggi. Il Lago della Caicia, che ho visto oggi per la prima volta, è vero un gioiellino della natura!
26 agosto 2021 - TIGLIETO dalla Cappella della Maddalena (Campoligure)
Stefano
In una bella giornata ormai di fine estate ho fatto una piccola traversata dalla Cappella della Maddalena (ubicata a metà strada tra Campoligure e Masone) fino a Tiglieto valicando il Passo della Fruia, importante crocevia di antiche mulattiere e di strade forestali.
Partenza alle 9 dalla chiesa di Santa Maria Maddalena (m. 370) presso la confluenza del Rio Masca nel Torrente Stura. In salita ho seguito l’itinerario segnato con una linea e un punto gialli (ridipinti di recente) che costeggia dapprima il corso d’acqua per rimontare poi senza indugio l’impervio vallone di Masca.
Raggiunto il contrafforte divisorio tra le valli Stura e Orba (Passo della Fruia, m. 826, ore 10.50), ho preso a destra la sterrata segnata con due quadrati gialli (in alcuni tratti larga appena più di una mulattiera) che, mantenendosi in quota e con percorso quasi pianeggiante, conduce al valico della Crocetta di Tiglieto.
Oltrepassata in località Morbetto (m. 830, ore 11.20) una diramazione per la Colla Minetti e superata la successiva selletta della Femmina Morta (m. 795), presso l’intaglio roccioso detto “dello Scaiun” (ore 11.45) ho abbandonato la sterrata per seguire a sinistra un sentiero che non avevo mai percorso prima d’ora. Questo sentiero, perfettamente ripulito dai bikers e dai riders (MTB e moto da trial) della zona, discende tutta la dorsale che separa il vallone del Rian dra Gerla da quello del Rio Masino e sbuca sulla stradina asfaltata dei Garioni a meno di 2 km dalla chiesa di Tiglieto (m. 500).
Alle 13 in punto sono a casa, dopo quattro ore esatte di cammino su tracciati sempre in ordine e segnati con cura (anche la segnaletica verticale è stata tutta rinnovata).
23 giugno 2021 - ROCCA DELLA MARASCA (sperone N-O) da Martina Olba (ritorno a Vara Inferiore)
Stefano
Partenza da Martina Olba (m. 484) nel tardo pomeriggio di una giornata variabile, con il tempo in rapido miglioramento dopo una breve parentesi di cielo coperto e di pioggia leggera.
A lato del deposito dei mezzi comunali, imbocco il sentiero (palina) che in pochi minuti conduce alla nuova panchina gigante pitturata di un bell’arancione luminoso e posizionata su un terrazzino panoramico proprio in faccia al paese.
A pochi metri dalla panchina passa il vecchio tracciato F.I.E. Martina-Faiallo segnato con due crocette gialle. Questo tratto di mulattiera, che oggi ripercorro dopo ben 34 anni (l’ultima volta fu nel 1987!) e che è tuttora in ottime condizioni, venne abbandonato dalla F.I.E. molti anni fa a seguito di uno smottamento che interessò il ripido pendio sopra il ponte della provinciale sul Rio della Notte, presso il quale era situata la partenza. Da allora le crocette gialle seguono integralmente la stradina asfaltata del Maraschino fino al culmine della salita, dove poi si svolta a sinistra su di una sterrata (palina). Adesso, con l’apertura del nuovo sentiero per la panchina gigante che permette di evitare la zona franosa, si potrebbe ripristinare il percorso originario sicuramente molto più bello del monotono asfalto.
L’antica mulattiera acciottolata, a tratti quasi perfettamente conservata, si insinua con pendenza moderata nell’ombreggiato vallone del Rio della Notte. Poco prima di raggiungere e di attraversare il corso d’acqua, si incontra un bivio piuttosto evidente: abbandono adesso le crocette gialle per prendere sulla destra un’altra mulattiera ben tracciata (ma non segnata) che procede nella direzione quasi opposta in leggerissima ascesa. Al termine della salita e in vista di un’antica casa situata poco più in basso nel bosco, svolto a sinistra di novanta gradi per rimontare tra faggi e castagni un tratto di pendio senza sentiero; finchè, alla base di una parete rocciosa, incontro gli ometti e i bolli rossi ormai sbiaditi della “via normale” allo sperone nord-ovest della Rocca della Marasca.
La salita è avventurosa: si deve strisciare dapprima all’interno di un “sottopasso” creato da un macigno incuneato tra due rocce; successivamente occorre innalzarsi con attenzione all’interno di una grossa spaccatura (difficoltà F) al culmine della quale si mette finalmente piede sulla crestina di vetta (m. 910). Questa prua rocciosa rivolta a occidente, sopra cui spiccano il vessillo nazionale e una croce di legno massiccio, sembra fendere un mare tutto verde increspato da boscosi cavalloni.
In discesa seguo integralmente gli ometti e la traccia della “via normale” che vanno a sbucare sulla comunale di Vassuria sul versante sud della Marasca. Dopodichè mi dirigo a sinistra sull’itinerario San Pietro-Faiallo (cerchio giallo) e lo percorro fino alla Colla della Vassuria (m. 894).
Non mi resta che iniziare a scendere verso Vara Inferiore dove mi aspetta Alessandro che in questo momento starà cenando dai miei genitori. La memoria mi gioca un brutto scherzo e non riesco a individuare il sentiero che porta giù al bar ristorante di Vara Superiore: del resto saranno trascorsi oltre trent’anni dall’ultima volta che l’ho fatto.
Decido allora di passare per Case Mondamito, Casa Mrizu (dove nell’erba alta raccolgo un bel po’ di zecche) e Case Brescia, e calare così dall’alto su Vara Inferiore (m. 672) mentre il sole del solstizio illumina ancora il malconcio campanile della chiesa di San Giovanni Gualberto.
13 gennaio 2021 - BRIC PRAIOLI da Case Zanotta (Passo del Faiallo)
Stefano
Tempo splendido e temperatura in sensibile ripresa. Da Case Zanotta raggiungo Ca’ Dato e proseguo poi per le distese innevate e attraverso i boschetti di faggio sull’ampia dorsale che culmina col Bric Praioli. Cielo limpido e bel panorama dalla cima. Oggi neve così e così, tendente a formare lo zoccolo sotto le ciaspole. Ritorno alla macchina con la coscia un po’ dolente.
13 settembre 2020 - BRIC DEL DENTE dal Passo della Cerusa
Stefano, Alessandro
Al Passo della Cerusa, appena partiti
- Che cos’è?
- Si chiama paletto geolocalizzato: se hai bisogno di aiuto e chiami il 112, a chi ti risponde devi leggere il numero che vedi scritto sulla targhetta in alto; così riescono a trovarti e a soccorrerti velocemente. Sull’Alta Via c’è un paletto ogni chilometro. Fino a qualche anno fa servivano per indicare la distanza progressiva da Ventimiglia fino a La Spezia; ora ti dicono invece il punto esatto in cui ti trovi. E’ un po’ difficile da spiegare ...
- Ah ... E qui dove siamo?
- Qui siamo al Passo della Cerusa, tra il Faiallo e il Bric del Dente. Ora per un po’ seguiamo i segni bianco-rossi dell’Alta Via e poi saliamo in cima al Dente. Va bene?
- Si, però poi lo mangiamo il Buondì Motta?
- Certo, quando arriviamo in cima
- Papà, ti dico un cosa: perché non chiamiamo il 112?
- Non dire fesserie! E’ vietatissimo
- E se lo chiamo cosa succede?
- Non dirlo neanche per scherzo! Arrivano i Carabinieri e ti arrestano. Guai a te se lo fai!
Sull’Alta Via sulla Costa di Cerusa
- Papaa, guarda! Un altro paletto gelizzato!
- Si dice geo-localizzato
- Cosa c’è scritto?
- Un sacco di cose: Alta Via dei Monti Liguri, AV, numero di geolocalizzazione, numero di emergenza, Parco dei Beigua, NW 03 Cappelletta di Masone ...
- Quante cose!
- Eh si ... Dai, andiamo che tra poco siamo sul crinale e vediamo i precipizi
Sul crinale allo scoperto
- Ale, vieni qui! Guarda laggiù la strada del Faiallo. Guarda che precipizio!
- Uhh, che bello! Di là dove si va?
- Al Faiallo
- E di là?
- Al Turchino
- E giù di lì?
- A Fiorino, c’è un sentiero
- E di qua?
- A casa nostra: se segui il triangolo giallo arrivi fino a Tiglieto
- A Tiglieto dove? In Via Bertalin?
- Bravo, proprio in Via Bertalin. Però è un sentiero lunghissimo, ci vogliono tante ore
- Poi lo facciamo?
- Si, quando sei un po’ più grande. Ora seguiamo l’Alta Via che passa tutta sotto il Dente; poi saliamo in cima dall’altra parte
Verso la Sella del Barnè
- Vedi le due crocette rosse? Arrivano da Fiorino
- Dov’è Fiorino? E’ sopra a ...?
- E’ sopra a Voltri, nella Val Cerusa
- Eccolo, Fiorino. Lo vedi laggiù in fondo?
- Dov’è? Laggiù?
- Si, proprio in fondo alla valle. Per arrivarci c’è un sentiero che passa su quei monti ripidissimi sotto di noi che si chiamano Costa di Terra Sottile o Giassi del Dente
- E’ un sentiero per gente grande?
- Si, è un sentiero difficile
- Ancora un paletto!
- Questo è il terzo che incontriamo. Siccome il primo era dove siamo partiti, vuol dire che abbiamo fatto due chilometri
- Siamo arrivati? Mangiamo il Buondì Motta al cioccolato?
- No, non siamo ancora in cima
Salita al Dente per la “via diretta”
- Ora lasciamo l’Alta Via che va giù verso il Turchino e saliamo sul Dente
- Lì come si chiama?
- E’ la Sella del Barnè
- E quel monte lì?
- E’ il Monte Giallo. Ora noi per arrivare sul Dente facciamo la Via Diretta: mi raccomando perché è una salita ripida e difficile
- E’ per grandi?
- Si, ma tu sei bravo e ce la fai. Tieniti forte alla mia mano che ti aiuto. Sei pronto? Andiamo?
- Ok
- Papà, siamo arrivati?
- No, ma ormai manca proprio poco
- Papà, sono stanco
- Anch’io son stanco. Dai, forza e coraggio che in cima mangiamo il Buondì Motta
Arrivo in vetta
- Guarda Ale! La vedi la croce?
- Si! Ora la vedo bene!
- Sei stato proprio bravo! Ora mandiamo una foto alla mamma e ai nonni. Ti piace il Dente?
- Si, però ora mangiamo il Buondì Motta al cioccolato che ho proprio una gran fame
- Aspetta che lo prendo. O porca miseria, si è sciolto per il caldo, ti sporcherai tutto
- Ma non ti preoccupare che lo mangio lo stesso
Ritorno
- Papà, alla macchina quando ci siamo?
- Tra poco, la discesa è corta
- Papà, ti dico una cosa: ora andiamo a prendere un bel gelato da Elisabetta. Un gelato al pistacchio
- Hai proprio fame!
- Aspetta che ti dico ancora una cosa: oggi non dormiamo
- Ma come? Non sei stanco? Ci riposiamo un pochettino
- No, ti ho detto che oggi non dormo
- Fai un po’ come vuoi ...
Post Scriptum: neanche dieci minuti di macchina e Alessandro è cascato in un sonno talmente profondo che c’è voluto del bello e del buono per riuscire a svegliarlo, a casa, dopo più di due ore e mezza che dormiva!
28 giugno 2020 - ROCCA DELLA MARASCA (sperone N-O) dalla sella di Montà (San Pietro d'Olba)
Stefano
Un anno di merda, c’è ben poco da dire. Dopo il cataclisma sanitario, lo sfacelo viario. Se al tempo delle restrizioni mettersi in viaggio era un atto da carbonari, adesso è un’azione da arditi o da incoscienti; e visto che in settimana, per recarmi al lavoro, mi tocca essere sia l’uno che l’altro, il sabato e la domenica ripiego senza il minimo rammarico sui giri in bicicletta e sulle gite a chilometro zero, almeno fino a quando le cose non miglioreranno.
Oggi per esempio parto a 12 km da casa, dalla sella di Montà sopra San Pietro d’Olba (m. 681, ore 7.20) e, tramite mulattiera, scendo giù in paese (m. 526) per attraversare l’Orba sul vecchio ponte di pietra. Imbocco poi la bella mulattiera selciata, molto ben tenuta, che fino agli inizi del 1900 costituiva l’unica via di collegamento verso il mare (la “strada della pedona”) su cui passavano i commerci tra l’Olba e Voltri. Seguendo poi la stradina in parte asfaltata e in parte sterrata segnata con il cerchio giallo, raggiungo la Colla della Vassuria (m. 894) e il ripiano dei Roncazzi, dove prendo la mulattiera (due crocette gialle) che scende giù nella faggeta per l’ombrosa valletta del Rio della Notte.
A un bivio abbandono le crocette gialle e prendo la diramazione (non segnata) di sinistra che procede con lievi saliscendi alle pendici nord-orientali della Rocca della Marasca; risalgo poi un breve tratto fuori sentiero finchè, sotto uno sperone roccioso, incontro i bolli rossi della “normale” alla cima nord-ovest. La salita è avventurosa: si deve strisciare dapprima all’interno di un buco formato da un macigno incuneato tra due rocce; successivamente occorre arrampicare in un camino ben incassato (difficoltà F) all’uscita del quale si posa piede sulla crestina sommitale (ore 10).
Sulla cuspide rocciosa dello sperone N-O della Rocca della Marasca (m. 910) è piantato un piccolo vessillo nazionale mentre con lo sguardo è possibile abbracciare una buona porzione di Val d’Orba, dal Beigua a Martina e, più lontano, fino a Tiglieto. Sempre in vetta è presente una croce di legno con tabernacolo a ricordo di un ex-voto risalente al 1929.
Dopo la discesa tra le rocce fatta con un po’ di cautela, mi riporto sulla bella mulattiera lastricata e segnata con due crocette gialle (pure questa una “strada della pedona”) che conduce giù a Martina. Seguo fedelmente anche il tratto più basso, quello sotto la strada del Maraschino, da molti anni abbandonato e non più segnato dalla F.I.E. a causa di una vecchia frana: la mulattiera, che sbuca dal ponticello sopra il campo sportivo, è ancora in buone condizioni e permette di evitare quasi due chilometri d’asfalto.
Da Martina (m. 484) faccio ritorno a San Pietro percorrendo la provinciale, ripasso l’Orba sul ponte di pietra, attraverso il vecchio borgo della Ferriera e riprendo la mulattiera che mi riporta su alla Montà (ore 11.50). Da qui a casa sono solo quindici minuti di macchina: cosa che, in questo periodo un filino complicato, diventa quasi un fatto da raccontare!
2 maggio 2020 - ROCCA DELLA MARASCA dalla Colla Vassuria
Stefano, Alessandro
Pronti per andare
- Perchè non andiamo al lago?
- Perchè oggi c'è troppo bagnato e c'è troppa acqua, ci andiamo un'altra volta. Stamattina ti porto sulla Rocca della Marasca dalla Colla della Vassuria
- Ci andiamo in macchina?
- Andiamo con la macchina fino alla Vassuria e poi a piedi. Va bene?
- Ma si ... Mi sembra una buona idea
Alla Colla della Vassuria
- Papà, qui dove siamo?
- Alla Colla della Vassuria. Ora devi seguire i cerchi gialli. Dai, in marcia!
- Ok
Verso la Rocca della Marasca
- Altro cerchio giallo!
- Bravo, seguili sempre altrimenti sbagliamo strada
- Qui i cerchi gialli non ci sono?
- No, qui non ci sono, i cerchi vanno giù a San Pietro. Ora devi seguire bene il sentiero. Mi raccomando eh, non perderlo
- E qui dove siamo?
- Siamo quasi sulla Rocca della Marasca. Manca poco
- Papà, ci sono tante api!
- Non sono api, sono moscerini. No, sono mosche; ma non ti fanno niente!
- Non pungono?
- No, le mosche non pungono
- E le api?
- Le api ogni tanto si
- E se ti pungono poi va in cielo?
- Beh, adesso non esageriamo ...
In cima
- Papà, me la dai un po' d'acqua?
- Ale, guarda che bel panorama! Si vedono le Alpi con la neve. E anche il Bric Berton e la Montà
- Si ma me la dai un po' d'acqua?
- Ora te la do. Guarda il Beigua
- Dove?
- Davanti a te
- E' quello con le antenne?
- Si, è quello
- Guarda, papà! Si vedono le Alpi con la neve!
- Eh, te l'ho detto prima ...
- Dai che ti faccio una foto sotto la croce. Fai un sorriso
- Cheese ...
- Si, ma girati verso di me!
- Cheese ... Cheese ... Cheese ...
- Hai visto, Ale, anche da quella parte? Hai visto che bel panorama?
- Si, però ora giochiamo a nascondino?
- Va bene, però giù nel bosco
Al ritorno
- Ti ho trovato!
- Porca miseria, mi hai visto. Dai, conta di nuovo e non guardare
- Giù di qua cosa c'è?
- Qui sotto c'è Vara Superiore
- Ci possiamo andare?
- Ci passiamo con la macchina. Dobbiamo andare a Vara a vedere se a casa dei nonni è tutto in ordine
- Andiamo a Vara Inferiore?
- Si, a casa dei nonni
- Sai, Stefano ... Mi è piaciuta molto la gita di oggi. Mi è proprio piaciuta
17 marzo 2020 - LAGHETTO DELLA CHIUSA da Tiglieto
Stefano, Alessandro
Decidiamo di fare una camminata
- Ale, andiamo a camminare?
- Dove? Dal ponte traballante?
- No, lì non si può andare perché è vietato prendere la macchina. C’è il Coronavirus
- Il coronavirus ... Stefano, ho un’idea. Sai dove andiamo? Andiamo al Bric Berton!
- Noo, non si può usare la macchina. Ci denunciano!
- Chi?
- I Carabinieri
- Ah
- Sai dove ti porto? Ti porto al lago della Chiusa
- Che cos’è il lago della Chiusa?
- E’ un lago!
- Ah, è un lago ... E possiamo tirare le rocce nell’acqua?
- Certo che le tiriamo. Allora, ci vuoi andare?
- Va bene. Però come ci andiamo? Con la macchina?
- No! A piedi!
All’inizio del sentiero in Via Bertalin
- Vedi Ale, tu devi seguire sempre i segni gialli. Sennò ci perdiamo. Hai capito?
- Si! Ho capito!
- Mi raccomando
Al ponte sul Rio Masino
- Stefano, come si chiama questo ponte?
- E’ il ponte sul Rio Masino
- Che bello questo ponte! Mi piace proprio
- Occhio ai segni gialli. Non perderli
- Okay
- Stefano, è vero che noi due siamo i migliori?
- Ovvio!
- Piano! Stai attento a non cadere!
Al bivio di Case Reborina
- E qui cosa c’è scritto?
- Case Reborina
- E qui?
- Badia di Tiglieto
- Noo, non lì! Qui!
- Badia di Tiglieto!
- Ah
- Che bello che è qui. E’ proprio bello. Mi piace tanto
Verso la Colla dei Minetti
- E qui come si chiama?
- Siamo quasi alle Case Gerla
- Si, però qui come si chiama?
- Non lo so
- Ti è piaciuto attraversare il Rio della Gerla?
- Si!
- Ora saliamo alle Case Gerla
- Dove sono?
- Ecco le Case Gerla
- Aspetta Stefano, che raccolgo questi denti di cane
- No, Ale ... non sappiamo dove metterli
- Ma Stefano, non ti preoccupare. Tieni, questi fiori sono per te
- Grazie. Ora però andiamo
- Aspetta, aspetta!
- Cosa c’è?
- Guarda che belli questi ranuncoli
- Andiamo dai, che vien tardi!
- Un attimo Stefano. Tieni, questi sono per la mamma. Mettili in tasca
- Messi. Ora andiamo
- E qui dove si va?
- Alla Colla dei Minetti
- Eccoci! Siamo quasi arrivati alla Colla dei Minetti
- E il lago della Chiusa?
- E’ più avanti ma manca poco
- Ale, controlla un po’ i segni gialli. Ora dove si va?
- Si va ... di là!
- Quelle lì sotto sono le Case Minetti
Alla Ferriera Alta
- Papaa ... Sono stanco. Mi prendi sulle spalle?
- Ale, non ce la faccio. Dai che manca poco
- Ma io sono stanco
- Arriviamo fino alla Ferriera e poi ti porto sulle spalle
- Papà, ho un’idea! Che ne dici se facciamo una corsetta?
- Questa è la Ferriera Alta
- E quanto manca al lago?
- Pochissimo, ormai siamo quasi arrivati
- Papaa! Ho sete!
- Va bene, ci fermiamo e beviamo
- Là in cima alla salita siamo arrivati!
- Allora la facciamo ancora una corsetta?
Al laghetto della Chiusa
- Ecco il Lago della Chiusa! Ti piace?
- Che bello! Le possiamo tirare le rocce nell’acqua?
- Certo
- Papà, dai ... scendiamo
- Ma è un precipizio!
- Scendiamo! Scendiamo!
- Ale, è troppo ripido. Non possiamo permetterci di finire al pronto soccorso in questo periodo
- Ma io voglio scendere! Dai, ti prego!
- E va bè! Però io vado davanti e ti faccio scendere un passo alla volta prendendoti in braccio
- Va bene
- Ale, mi raccomando ... tieniti forte a me e quando ti poso aggrappati subito alla ringhiera. Hai capito?
- Si! Ho capito
Il coronavirus
E così, dopo un’avventurosa discesa, cominciamo a lanciare le pietre nel lago; e poi a tirarle in modo da bagnarci l’un l’altro con gli schizzi. Tra il gorgogliar dell’acqua e il silenzio dei boschi, l’infezione epidemica sembra un problema remoto che non ci riguarda più. Ma al ritorno, dall’uscio di un’antica casa della Ferriera, una donna ci squadra sospettosa. Il timore del contagio è in ognuno di noi. Poi vede Alessandro e il suo volto si distende e si addolcisce.
9 dicembre 2018 - GIRO DELLA MARASCA (e CIME SE e NO) da Vara Inferiore
Stefano
La Rocca della Marasca, che ho sempre snobbato, mi è piaciuta a tal punto da volerla rifare immediatamente: questa volta, però, con un bel percorso ad anello che mi ha permesso di toccare entrambe le sommità: quella principale, un panettone pietroso cinto da un fitto boschetto, e lo sperone nord-occidentale, una cuspide particolarmente ardita se la si guarda da sotto oppure dalle alture di Montà sopra San Pietro d’Olba.
Da Vara Inferiore (m. 672) seguo l’antica mulattiera che passando per Case Brescia e Casa Mrizu sbuca sul piccolo altipiano prospiciente la Marasca. Scendo poi a Case Spelia e attraverso la valletta del Rio Sambù fino a incrociare la strada comunale di Vassuria dove incontro il cerchio giallo proveniente da San Pietro. Seguendo quest’ultimo mi porto in breve sulla dorsale soprastante dove svolto a sinistra: un buon sentiero si inerpica a zigzag tra rocce e alberelli e termina sulla vetta SE della Marasca (m. 948).
La giornata è solare e da occidente spira un vento asciutto e mite che spazza via le nubi marittime addossate al crinale di spartiacque. Poco lontano si scorgono le due croci sullo sperone NO, proprio in faccia alle case di Montà dall’altro lato della valle.
Dalla cima scendo per lo stesso sentiero e proseguo poi lungo la dorsale sulla stradina asfaltata che porta alla Colla Vassuria (m. 894). Poco oltre intercetto le due crocette gialle risalenti da Martina Olba e le seguo a ritroso passando per i Roncazzi e scendendo giù nel bosco nel vallone del Rio della Notte.
A un bivio abbandono le crocette gialle dirette al Maraschino e prendo la diramazione di sinistra (palina e bolli arancioni) che procede in falsopiano alle pendici nord-orientali della Rocca. Giunto sotto la verticale dello sperone NO, salgo per un breve tratto fuori sentiero fino a incontrare i bolli rossi della “normale” alla cima nord-ovest. La salita è impervia: si passa dapprima all’interno di una piccola galleria costituita da un masso incastrato tra due rocce e, successivamente, occorre superare un camino ben incassato (difficoltà EE/F) che permette di sbucare sulla crestina sommitale.
Da quest’altra vetta (m. 910) il panorama è sensibilmente migliore e permette di abbracciare con lo sguardo un buon tratto di Val d’Orba, da San Pietro a Martina e a Tiglieto; sullo sfondo, oltre le Langhe, si stagliano le Alpi Occidentali innevate.
La discesa la effettuo per la stessa via: i bolli rossi terminano presso una vecchia cascina a poche decine di metri dalla strada di Vassuria; un ultimo tratto su asfalto e l’anello è chiuso. Non mi resta che riattraversare il piccolo altipiano del Rio Sambù e scendere giù a Vara sotto un sole magnifico e un cielo cobalto. Davvero un bel giretto quello di oggi: vario, molto panoramico e per nulla banale.
8 dicembre 2018 - ROCCA DELLA MARASCA da San Pietro d’Olba
Stefano
Piccola gita carina un periodo non molto fortunato in cui le occasioni per camminare sono state davvero poche.
Dal ponte di San Pietro d’Olba (m. 526) seguo l’antica mulattiera (già antichissima via del sale e del ferro) segnata con un cerchio giallo che taglia i tornanti della carrozzabile per Vassuria. Dopo una vecchia osteria si incontrano alcuni tratti acciottolati ancora in buone condizioni finchè, tra gli alberi, non si scorge l’ardito sperone nord-occidentale della Rocca della Marasca. Sono quarant’anni che giro intorno a questa montagna, a piedi, in bici; la vedo tutti i giorni dalle finestre di casa mia; eppure, per quanto possa sembrare incredibile, non ci sono mai salito!
Il problema ora è cercare di capire da che parte passare. Una vecchia relazione del 2007 trovata su internet accenna a una via normale segnata con bolli rossi ma non ho ben capito da dove parta e soprattutto quale versante risalga. Una traccia sulla mappa del navigatore GPS non mi aiuta, anzi mi indirizza su terreno accidentato ai piedi degli imponenti roccioni meridionali che sbarrano senz’altro ogni via d’accesso; in alto riesco a scorgere la bandierina fissata in vetta ma di segni rossi manco a parlarne. Decido quindi di fare da me e mi sposto leggermente verso la Vassuria dove il pendio tende ad addolcirsi benché il terreno rimanga sempre fortemente impervio: pietraie, pietroni, rocce e alberelli così bassi che i rami ti si infilano dritti dritti negli occhi. Pochi metri sotto la punta incontro i bolli rossi, un po’ sbiaditi ma sufficientemente chiari: provengono dall’opposto versante, quello settentrionale, e al ritorno passerò di lì.
La cima nord-ovest della Rocca della Marasca (m. 910) è estremamente panoramica e domina un buon tratto di Val d’Orba, da San Pietro a Martina a Tiglieto; sullo sfondo, sopra la Montà, si staglia il Monviso.
In discesa seguo pertanto la “normale” che presenta subito un passaggio tecnico, non esposto, giù da un camino ben incassato tra due pareti (difficoltà EE/F). I segni rossi terminano presso un’antica cascina a poche decine di metri dalla comunale Urbe-Vassuria.
Da qui riprendo la mulattiera percorsa in salita e in breve sono di ritorno giù a San Pietro dove concludo questa bella passeggiata.
8 aprile 2018 - BRIC DEL DENTE da Campoligure (ritorno a Tiglieto)
Stefano
Lunga traversata dalla Valle Stura a Tiglieto in una giornata di tempo finalmente discreto dopo un inizio di primavera spiccatamente freddo e piovoso.
Partenza da Campoligure (m. 342) alle 7.20 e salita per stradine e mulattiere (perfettamente segnate con il triangolo vuoto giallo) fino a sbucare sui bei ripiani erbosi in località Mongrosso. Sopra le ultime case imbocco un’altra bella mulattiera che si innesta, poco più in alto, su una pista forestale. Tra ampie radure e radi boschetti di pini, raggiungo la stradina asfaltata che porta ai pascoli del Pavaglione e alla grande stalla di Cà dei Prai. Una bava di tramontana rende piacevole il cammino su e giù per le gobbe e gli avvallamenti di questo piccolo altipiano.
Qui in estate, quando il sole batte a picco, la calura può diventare insopportabile: “Terrificante camminata sotto il sole!” recita il diario di mio padre a proposito della prima volta che passammo da queste parti (era il lontano agosto 1987) quando da Campo salimmo al Dente per proseguire poi fino a Vara.
I pascoli terminano presso una selletta (m. 818) oltre la quale il sentiero prosegue a mezzacosta sul versante del Vallone di Masca. Alle 9.30 giungo alla Colla di Masca (o Passo Fruia, o Colle dei Ferri, m. 822), importante crocevia di mulattiere e di antiche vie del sale.
Un bel sentiero percorre ora con dolci saliscendi l’ampia dorsale di spartiacque Stura-Orba in direzione del Dente che si profila non lontano nel cielo scialbo e lattiginoso. Passo a oriente del Bric Dentino (detto anche Bric della Saliera per via di un antico deposito di sale) e arrivo ai piedi della ripidissima impennata conclusiva che sbuca sul crinale proprio alla base del dente roccioso che dà il nome alla montagna.
Alle 10.25 sono in vetta (m. 1107) dove trovo una nuova “rosa” con le direzioni delle più importanti cime delle Alpi. La visibilità però è scarsa come spesso capita in Appennino Ligure in presenza di correnti da N.E. nei bassi strati e cioè di “travaso” padano verso la costa dell’aria fredda e umida (foschia) presente oltregiogo.
Il nastro d’asfalto che dal Turchino sale al Faiallo sfregia profondamente il versante più bello e spettacolare, quello che precipita vertiginoso nella Valle del Cerusa; a più di quarant’anni dall’apertura di questa strada la ferita sulla montagna si è parecchio rimarginata ma la cicatrice rimarrà per sempre; eppure, nonostante ciò, io sono affezionatissimo a questa strada che avrò percorso in bici e in auto centinaia e centinaia di volte e il ricamo che disegna a lato del crinale, visto dal Reixa o dal Faiallo, mi sembra alle volte persino bello.
In discesa percorro un brevissimo tratto di Alta Via verso la Costa di Cerusa per imboccare poi il sentiero segnato con un triangolo pieno giallo che porta giù ad Acquabianca e a Tiglieto. Dopo il guado sul Rio Baracca tranquilla camminata fino alla Gattazzè (m. 702, ore 11.35) ma dopo il bivio a destra per la Badia di Tiglieto inizia l’avventura. Ovunque grandi cataste di faggi abbattuti, monconi di alberi spezzati, radici all’insù e rami e tronchi dappertutto: sembra che il bosco sia stato preso a cannonate; invece sono bastate poche ore di pioggia con temperature al suolo sotto lo zero (11 dicembre 2017) per provocare tutto questo sfacelo. Non ho scattato foto perché ero troppo impegnato ad aggirare o a scavalcare gli innumerevoli sbarramenti che interrompevano sentiero.
Giunto ai due guadi sul Rosto e sul Carpescio li attraverso senza indugio entrandoci dentro fin oltre le ginocchia: altri modi di passare proprio non ce ne sono. L’acqua fredda mi inonda gli scarponi e mi gela le gambe ma è questione di un attimo: dopo pochi minuti, alla Ferriera (m. 529, ore 12.10), l’acqua ha già preso la temperatura del corpo e non da più fastidio.
Non mi resta che proseguire fino alla provinciale e percorrerla verso Tiglieto per circa un chilometro. Alla Colla Minetti (m. 552) riprendo il sentiero che scende a guadare il Rio della Gerla e che prosegue con leggeri saliscendi fino a incrociare, subito dopo il ponticello sul Rio Masino (m. 454), la stradina asfaltata (Via Bertalin) che porta su a Tiglieto (m.500).
Alle 13 in punto, giusto per l’ora di pranzo, porto a termine questa bella traversata di quasi 21 km. Purtroppo i danni provocati dal gelicidio di dicembre non si rimargineranno in tempi brevi e tutta la rete sentieristica al di sotto dei 700 / 800 metri ne è uscita “con le ossa rotte”.
7 novembre 2015 - BRIC PRAIOLI da Vara Inferiore (ritorno a Tiglieto)
Stefano, Gianni, Franca
Oggi esploriamo la zona alle spalle del Faiallo, quella che dal Bric Praioli scende all’Acquabianca.
Partiamo da Vara (ore 8,30) in una splendida e mite giornata di sole e saliamo lungo il sentiero che passa dalle case ormai abbandonate di Brescia e di Mrizu.
Brescia, Mrizu e poi Mondamito e Vassuria: questo percorso non è mai stato preso in considerazione per tracciare l’itinerario di un’escursione e invece meriterebbe un segnavia.
Alla Colla Vassuria incontriamo il cerchio giallo che va al Faiallo, passiamo davanti alla Cappella dei Cianetti edificata da un valligiano per ringraziare la Madonna di averlo salvato dall'aggressione dei lupi e lo seguiamo fino a Case Zanotta dove svoltiamo a sinistra per la sterrata verso nord che costeggia le pendici del Bric Dato e finisce a Ca’ Dato.
Da qui continua un sentiero panoramico che attraversa la prateria. Davanti a noi il Bric Praioli con i colori bruciati dell’autunno che si stagliano nel cielo azzurro mentre all’orizzonte fanno corona le alpi innevate.
Dopo alcuni tratti di bosco nella zona chiamata Foi Lunghi – faggi lunghi? - siamo alla sella sul versante nord-ovest del Bric Praioli (ore 11,30) che si innalza sulla nostra destra.
Stefano ci tiene in modo particolare a raggiungere la cima perché tanti anni fa, quando era ragazzino, c’era venuto a sciare con gli amici, su e giù sulle pendici allora completamente prative. Da allora il paesaggio è cambiato perché sono nati e cresciuti tanti faggi che le hanno rivestite almeno in parte.
Bellissimo è il contrasto cromatico che oggi si può godere dalla vetta guardando verso sud: i colori cupi e brillanti delle cime vicine e l’azzurrino sfumato di quelle più lontane che si allungano sul mare, dove indugia pigro un velo di foschia. Bellissimo è il panorama verso nord con il Re di Pietra che svetta all’orizzonte.
Il Bric Praioli è un’elevazione di 1074 metri che fa da spartiacque tra la Valle del Rosto a ovest e quella del Rio Baracca a est. Oggi noi scenderemo nella Valle del Rosto seguendo un sentiero che non ho trovato nelle carte, che non è mappato e che non ha segnavia. Per quel che ne sappiamo il sentiero potrebbe perdersi nel bosco.
E invece no, la traccia è ben marcata e anche su questa sarebbe bello che ci passasse un itinerario con tanto di segnavia. Dapprima percorre lunghi tratti pianeggianti e poi scende decisa sempre in direzione nord fino a congiungersi, intorno ai 770 metri di quota, al sentiero del triangolo giallo.
I ruderi della Gattazzè sono vicini e in pochi minuti li raggiungiamo (ore 12,45). La differenza tra come si presentavano venti, trent’anni fa e come invece ci appaiono adesso è impressionante. Perché allora si trovavano in mezzo a un’ampia radura e ora invece sono soffocati nel bosco. Resiste ancora quella che era stata una bellissima cappella mentre la casa padronale dei marchesi Raggi che qui avevano la tenuta di caccia è ormai solo macerie. Non solo per la neve e la pioggia e il tempo che è passato ma anche per un incendio divampato tanti anni fa.
Scrive Massimo Zagarella di Acquabianca: “ho ancor ben vivo in mente il "palazzo" della Catazzè ( o Gattazzè, come altri la chiamano), bianco, maestoso, con i suoi rasi di velluto rosso, con i suoi stupendi mobili antichi, con i suoi libri: tutto in cenere, in un giorno di luglio dei primi anni '70, mentre il vento, al solito, spirava forte da sud.est”
Poco sotto, in una piccola radura che ancora ha resistito all’avanzare del bosco, ci fermiamo a mangiare. Poi riprendiamo il cammino e al bivio con il sentiero per l’Acquabianca (tre pallini gialli) scegliamo di proseguire sul triangolo giallo che ci porterà a Tiglieto.
Incontriamo un’altra casa abbandonata: Ca’ Cherubina (o Carrubina) che insieme alle altre case della valle del Rosto ci racconta un pezzo di storia particolare “perché - è sempre Zagarella che parla - i Raggi già dal 1600 erano, e sono tuttora, proprietari di queste terre, una volta territori di caccia e di vacanza, di fattori e di manenti”
Il sentiero precipita ripido verso il fondo della valle dove il Rio Rosto e il Rio Baracca si incontrano e danno vita al Torrente Carpescio. Qui, intorno ai 540 metri di quota, ci aspettano due guadi, uno di seguito all’altro, che oggi possiamo superare senza problemi.
Poi proseguiamo in piano per la Ferriera, una piccola e antica borgata sul fiume e una targa curiosa che recita “Piazzetta delle chiacchere”. Chiacchere e non chiacchiere come sarebbe corretto. Poco dopo sbuchiamo sulla provinciale nei pressi del ponte Pizzorno che stanno ristrutturando.
Ma la gita di oggi ci riserva ancora dei bellissimi scorci perché Tiglieto è lontano e noi abbandoniamo ben presto la strada principale per passare tra minuscole borgate, tra stradine e sentieri che le attraversano. Un lungo saliscendi che si snoda più in basso della provinciale e tocca gli abitati di Case Minetti, di Case Gerla e di altre di cui non ricordo il nome.
Ancora un guado, questa volta sul Rio Gerla, un’ultima breve salita, un solido ponticello in legno che ci porta in paese. Il campanile della chiesa di Tiglieto ha suonato da poco tre rintocchi. Sono infatti le 15,15 quando sul viale che porta alla casa di Stefano e Chiara incontriamo il nostro nipotino: bellissimo, sprofondato in una nanna popolata di angioletti, pronto a fare la sua passeggiata.
Per noi 6 ore di cammino, 18 chilometri di sviluppo, 600 metri di dislivello in salita e 800 in discesa.
27 agosto 2015 - BRIC DEL DENTE da Rossiglione (discesa alla Sella del Barnè)
Stefano, Gianni, Franca
Ci sono itinerari vicino a casa che Stefano non ha mai percorso: la scelta di salire al Dente da Rossiglione è per colmare questa lacuna. Venite anche voi? ci ha chiesto e così ci siamo dati appuntamento alla Sella del Barnè sulla provinciale del Faiallo tra il Dente e il Monte Giallo.
Il Dente da Rossiglione è distante abbastanza da farci scartare l’idea di andare avanti e indietro e preferire invece la traversata. Per questo lasciamo una macchina alla Sella del Barnè e proseguiamo con l’altra fino a Rossiglione dove posteggiamo nel piazzale della stazione. Il tempo è bello ed è tornato il caldo, per fortuna mitigato da una piacevole brezza.
Ore 8,40 - Attraversiamo il caratteristico ponte pedonale sullo Stura e il bel borgo antico di Rossiglione Inferiore fino a trovare, sulla provinciale, il segnavia del rombo giallo pieno. Il percorso si snoda da nord a sud sulla linea di spartiacque, tra lo Stura e il Gargassa fino al Passo Fruia e tra lo Stura e l’Orba dal Passo Fruia al Dente: lo Stura sulla nostra sinistra e cioè a est, il Gargassa prima e l’Orba poi sulla destra e cioè a ovest.
Dapprincipio l’ambiente è bucolico: il bosco, i pascoli, la radura della cascina Broglio dove abbiamo un attimo di incertezza sul percorso perché i segnavia, ben visibili e pitturati di recente, nei bivi sono invece carenti, grandi alberi di castagno che costeggiano l’ampia mulattiera e di nuovo praterie verdeggianti.
Poi si inasprisce e rimangono solo i ciuffi dei bassi pini contorti a dare un po’ di colore ai sassi del sentiero che corre a mezzacosta sulla val Gargassa. E’ una zona particolare quella disegnata dal torrente Gargassa, uno dei paesaggi più sorprendenti del Parco del Beigua che ricorda valli esotiche molto distanti dal nostro Appennino.
Uno degli aspetti più curiosi di questo luogo è dato dalle rocce che formano la valle e che ne fanno un sito di grande interesse geologico. Si tratta di conglomerato (la stessa del promontorio di Portofino e dei torrioni del castello della Pietra di Vobbia), una formazione sedimentaria costituita da una matrice di fine cemento che incorpora ciottoli di maggiori dimensioni. Sono i depositi di un antico fiume, vecchio di milioni di anni, che in questi luoghi ha formato strati assai spessi, adesso tagliati dal torrente Gargassa (tratto da un articolo di genova.mentelocale.it).
Superiamo il colletto Mayolo (o Colla della Zucca)(ore 10,15) e quando il sentiero sale ripido tra l’erba alta punteggiata qua e là da radi pini e bassi cespugli raggiungiamo i ruderi di Pràa Soudàa. “Prato consolidato” con scarsa vegetazione e dove la terra si presenta compatta e argillosa. Il nostro sentiero corre sullo spartiacque e qualche volta si tiene più basso e attraversa a mezzacosta la Val Gargassa. Qui troviamo i ruderi della Cascina Viotta che prende il nome dalla famiglia Viotta, che fu fra le otto famiglie consortili che ebbero il potere in Rossiglione Superiore tra il ‘300 e il’700. Trovo queste note sul libro Beigua Geopark di Andrea Parodi e che l’autore ha tratto dall’Atlante toponomastico delle valli Stura e Orba.
A mezzogiorno meno un quarto sbuchiamo sulla stradina asfaltata che arriva da Campoligure e va ai pascoli del Monte Pavaglione. Il Dente è lontanissimo e il ritardo sulla tabella di marcia pauroso: colpa mia, colpa di Gianni, non certo di Stefano che comincia a guardare l’orologio e pensa a Chiara e Alessandro che lo aspettano.
Mi sembrano pascoli magri, dove le mucche faticano a trovare di che saziarsi, circondati da terreno incolto con l’erba alta e secca e con una grande stalla: Ca’ dei Prai, casa dei prati.
La fretta di arrivare al Passo Fruia ormai vicino ci fa accelerare il cammino ma io tribolo lo stesso perché se Stefano fosse solo volerebbe.
Importante crocevia di antiche mulattiere, è noto anche come Colla di Masca, Passo Fruia o Colle della Frua (la früa è la “ballotta”, la castagna secca che viene consumata bollita). Il toponimo Colle dei Ferri (Colla di Fèri) trae origine dal fatto che qui transitavano i portatori di ferro (spallaroli) provenienti dalle ferriere della Valle Stura (dal libro Beigua Geopark di Andrea Parodi e dall’Atlante toponomastico delle valli Stura e Orba). Aggiungo solo che masca significa strega e qui intorno c’erano evidentemente tante streghe visto che il toponimo ricorre in più punti: Colle di Masca ma anche Colle di Cima Masca e Bric di Masca.
Questo passo segna la fine dello spartiacque Stura-Gargassa e l’inizio di quello tra lo Stura e l’Orba.
Ormai ci sentiamo vicini alla nostra meta: siamo sul percorso fatto appena due settimane fa quando con Gianni sono salita al Dente da Masone. La pioggia ha riempito fino all’orlo le vasche dell’abbeveratoio, il Dente si avvicina e siamo alla sella di Prato della Saliera. Contorniamo il Bric Dentino e affrontiamo la ripida salita lungo le pendici nord del Dente.
Ore 14,20 - Eccoci arrivati! La macchina è laggiù in basso, sulla strada del Faiallo.
Il mare si perde nella foschia, il promontorio di Portino sembra galleggiare sospeso sul mare. Un venticello leggero mitiga l’afa. Verso nord possiamo osservare l’interminabile percorso appena compiuto.
Ed ora giù lungo il ripido sentiero della via diretta che corre tra le rocce del versante est fino a raggiungere, e intanto si sono fatte le tre, la Sella del Barnè e la nostra macchina.
Quasi 15 chilometri lo sviluppo della traversata, quasi 1100 i metri di dislivello percorsi in salita, oltre cinque ore di cammino effettivo (ma i tempi sono sicuramente dilatati). Ambiente vario e mai monotono.
11 agosto 2015 - BRIC DEL DENTE da Masone
Gianni, Franca
Alle 8 e mezza siamo nella piazza della chiesa di Masone, il paese dove sono nati i nonni di Gianni e dove l’estate passava le vacanze: è un racconto a quattro mani, punteggiato di ricordi.
Non ero mai entrata nella Chiesa di Cristo Re, incredibilmente imponente e sontuosa. Tanto grande che mi fa venire in mente il Santuario della Guardia. Dal piazzale, che oggi è inondato di sole, partono diversi segnavia ma non i due quadrati gialli pieni che cerchiamo noi. Li troviamo più avanti, lungo la strada della Cascata del Serpente, provenienti dal Mulino.
Passiamo sotto il viadotto dell’autostrada, poi sul ponte del Rio Masone che ci porta nell’altro versante della vallata, per seguire la sterrata che si stacca sulla destra verso Casa Ronchetto.
“Mio nonno mi parlava spesso del Ronchetto, che è l’ultima casa prima della giogaia. Non so se passava di qui quando andava a portare la polenta ai suoi fratelli che facevano l’erba sul Dente, ma per andare a mangiare i ravioli all’Acquabianca ci passava di sicuro. Pensa che è la prima volta che ci vengo. Mi parlava anche di Pestummu, che non so se è solo il nome del torrente o anche di una cascina, ma diceva: Postumia. Come l’antica via romana.”
Più su lasciamo la strada ed entriamo nel bosco. Al di sopra degli alti pini si possono osservare il Monte Giallo, il Bric del Dente e la depressione della Sella del Barnè che li divide.
Ore 10 - Al cartello con scritto Passo della Fruia - che si chiama anche Colle di Masca - lasciamo i quadrati gialli che vanno verso il Colle di Masca e seguiamo invece il percorso, più breve e diretto ma con un dislivello leggermente superiore, che è stato segnato di recente con tre pallini gialli e passa sulla dorsale salendo al Bric Masca. Querce, pini, sorbi, noccioli e alti brughi di un verde tenero ci accompagnano verso le praterie dove troviamo il sentiero che proviene dal Colle di Masca con i segnavia rombo giallo pieno (da Rossiglione) e triangolo giallo vuoto (da Campoligure). Sarà quest’ultimo simbolo ad accompagnarci fino in vetta.
“Mio nonno era piccolo quando i suoi fratelli andavano a far l’erba sul Dente. Su questi prati oppure più su, non so. Sono prati magri, pieni di pietre. Ma c’era poco bosco allora. Mio nonno era un ragazzetto e lo mandavano sul Dente a portare da mangiare ai suoi fratelli. Polenta e formaggio dentro a due piatti fasciati da una salvietta legata con un nodo. I fratelli si fermavano a dormire lassù e lui scendeva e si portava un po’ del fieno già tagliato. Un carico leggero perché era poco più che un bambino. Avrà avuto una corba per portarlo giù, non so. Io avevo sette anni quando sono venuto sul Dente con mio papà e mia sorella, è stata la mia prima gita.”
Ai lati del sentiero l’erba è alta e c’è una fila di vasche per abbeverare le bestie che però non si vedono in giro, il Dentino è fasciato dal bosco e il Dente da questo versante è coperto anche lui di vegetazione.
Più avanti c’è un cartello con scritto “Saliera”. Non so se c’è ancora qualche rudere che la ricordi ma io non ho visto niente. So solo che era un edificio fatto costruire dalla Repubblica di Genova e che serviva da deposito per il sale.
“Mio nonno mi parlava della Saliera, chissà se a quei tempi c’era ancora qualcosa. Fino ai piedi del Dente per fare erba! Non saranno mica stati scemi a fare tanta strada se avessero potuto farla più vicino. Si vede che qui potevano e giù no. Mica venivano come facciamo noi, perché ci piace, era una vita dura, di fatica.”
A una decina di minuti un altro cartello: “Bric Dente 0,15”. Che bello, penso io, un quarto d’ora e siamo arrivati. Ma è un cartello bugiardo perché dopo quindici minuti siamo ancora distanti. Inizia per me la parte più faticosa della gita perché l’ultimo tratto è ripido e perché fa caldo.
Saliamo le roccette che ci dividono dalla cima e siamo al cippo sormontato dalla piccola croce trasparente (ore 12,10). Il panorama si perde nella foschia. Il mare si confonde con l’orizzonte.
“Scendiamo dalla diretta o facciamo il giro?” Mi pento subito di aver scelto la via meno ripida ma ben più lunga che contorna il Dente: il sole, in quest’ora che è allo zenith, e l’assenza di un refolo di vento che spira soltanto, e non sempre, nel punto più alto del crinale, rendono l’aria rovente.
Mentre ci avviciniamo alla Sella del Barnè, con la prospettiva di salire al Monte Giallo che abbiamo di fronte per proseguire lungo l’Alta Via verso levante fino alla sella prima del Forte Geremia, ci tenta l’idea di percorrere invece un tratto della strada del Faiallo come se fosse più breve. Idea per fortuna subito abbandonata. Questo, sul versante marino, è oggi, per via del caldo, il tratto più faticoso della gita.
Sul Monte Giallo, tra le praterie bruciate dal sole, incontriamo un ragazzo e i genitori, francesi, che arrivano dal Geremia. Non un filo d’ombra tra i cespugli di erica di un viola sbiadito tra l’erba color delle stoppie.
Quando finalmente scendiamo a toccare la provinciale del Faiallo, nella sella tra il Monte Giallo e il Forte Geremia dove c’è il Prato Sambughetto, possiamo finalmente ripararci nel versante nord, ombreggiato dal bosco. Con qualche dubbio però, perché il sentiero, con il segnavia di due rombi gialli vuoti, sembra tornare indietro verso il Dente. Ma dopo un primo tratto pianeggiante e anche in leggera salita, scende poi verso Masone.
“Non so se in questo sentiero ci sono mai stato. Forse sì, quando facevo le marce di Masone. Ma allora correvo e non avevo tempo di guardarmi in giro.”
A un bivio troviamo un cartello che indica la Cascina Troia, noi proseguiamo sui rombi gialli verso le case di Pian del Colle dove ci aspettano la strada asfaltata e un furioso abbaiare di cani (ore 14,45).
Un tornante dietro l’altro andiamo a costeggiare il Rio Masone dove, più in alto, c’è la Cascata del Serpente. Qui invece c’è un altro laghetto dove la gente va a fare il bagno.
“Mio nonno raccontava che alla cascata del Serpente si tuffava con un sasso per andare a fondo e pescare con le mani. Io alla cascata del Serpente ci andavo ma non mi bagnavo. Il bagno lo facevo in questo laghetto che è meno profondo ma forse è più grande e che ora dalla strada non si riesce a vedere perché è cresciuto il bosco.”
Oltrepassati i ruderi della Cartiera Savoi chiudiamo l’anello che si è sviluppato prima sul versante orografico sinistro del Rio Masone e poi su quello destro e percorriamo il tratto finale che è comune e ci riporta al piazzale della chiesa dove, per fortuna, troviamo la macchina in ombra (ore 16).
17 i chilometri percorsi, 860 i metri di dislivello, una bella gita non particolarmente adatta nel pieno dell’estate ma molto bella nelle stagioni intermedie.
27 luglio 2014 – VALLE DEL ROSTO da Acquabianca
Gianni, Franca (41 partecipanti)
Quella di oggi è una gita insolita e particolare. “Una camminata storico-didattica nella Valle del Rosto” come è definita nel volantino di Urbe che porta i loghi del Comune, della Pro Loco, della Croce Rossa e della Protezione Civile. L’appuntamento è alla Chiesa di Acquabianca alle 9,30.
Il tempo che questa mattina presto era così e così sta migliorando.
I partecipanti arrivano alla spicciolata e alla partenza siamo in 41. Più Cloe, che è un bel cane fulvo al seguito di due simpatiche ragazzine. Ci sono parecchi giovani e anche qualche straniero, i “capi” e anche i rappresentanti della Croce Rossa. Non si sa mai …
Il programma prevede un giro ad anello sulle due sponde del torrente Rosto. Un territorio, la Possa, ancora di proprietà dei marchesi Raggi, ormai abbandonato ma dove una volta vivevano, sparse in numerose cascine, tante famiglie che tenevano le bestie e coltivavano a mezzadria. Manenti dei Raggi.
Risaliamo la strada che dalla chiesa porta alla Colla e seguendo il segnavia dei tre pallini gialli scendiamo al Rio Rosto. Il ponte che lo attraversava è crollato una ventina di anni fa. I due piloni laterali, risparmiati dalla piena, si alzano inutili dal greto del torrente.
La nostra guida, parca di parole, si ferma a radunare la truppa e prima di attraversare il corso d’acqua, con una breve deviazione ci accompagna a Ca’ Rosto. Ancora in ordine nonostante sia stata abbandonata e con il tetto rifatto di recente per paura che crolli.
Dietrofront ora, si torna nel bosco ampio e pianeggiante che costeggia il Rosto. Gli alberi alti e slanciati sono attraversati da una comoda mulattiera.
Visto che il ponte è crollato, per portarci sull’altra sponda ci aspetta un bel guado, per fortuna tranquillo visto che negli ultimi giorni non ci sono state grandi piogge. E dopo il guado saliamo inerpicandoci nel folto. I grandi massi che costeggiano il sentiero sono tappezzati di muschio e circondati da ciuffi di felci.
Siamo a Ca’ Batin, senza tetto, brandelli di pareti sopravvissute e seminascoste dai faggi che l’hanno circondata.
Poco più in alto incrociamo il sentiero che sale al Dente (triangolo pieno giallo) e lo seguiamo fino a giungere alla Gattazzè. Irriconoscibile rispetto alle vecchie foto che ci mostrano un grande casa (il casino di caccia dei marchesi), una più piccola per il custode e la splendida cappelletta a forma circolare. In una bella e ampia radura. Irriconoscibile anche da come l’avevo vista io una trentina di anni fa, sopravvissuta a un incendio ma ancora al centro di un ridente prato.
Ora la radura non esiste più e soffocate dal bosco sono rimaste poche macerie dell’abitazione più grande mentre la cappella è ancora miracolosamente in piedi. Ma per quanto? Si è parlato di promuovere un’iniziativa per salvare questo piccolo ma bellissimo capolavoro di architettura e spero che si possa arrivare in tempo.
Abbandoniamo il triangolo giallo e proseguiamo nel bosco su quella che una volta era una strada frequentata e ordinata e ora è un sentiero disseminato di rami spezzati. La guida davanti al gruppo ci fa strada e i volontari della Croce Rossa stanno in coda a controllare che nessuno si perda. A ogni passo il cra cra dei legni spezzati.
Ho tempo di pensare. E anche di farmi prendere da una sorta di malinconia.
In questa valle, come in altri luoghi isolati, tutto è stato lasciato come quando è stato abbandonato. Il tempo però non si è fermato e ha voluto un suo prezzo: le radure inghiottite, i sentieri distrutti, le case in macerie. Eppure sono passate solo poche decine di anni. Nei miei pensieri vedo campi coltivati a grano e patate, mucche al pascolo e tanta gente e tanti bambini che affollano questi posti così diversi da come li vedo ora. Un giardino, qualcuno ha detto, sembravano un giardino. Non è rimpianto per un mondo dove povertà e fatica la facevano da padroni ma la consapevolezza che non solo il passato ma anche il ricordo del passato è andato perduto.
Alle 12,10 siamo a Ca’ Agrifoglio, abbandonata anche questa negli anni ’60 e dove viveva una ventina di persone. E’ ora di pranzo e ognuno di noi si cerca un masso per sedersi e mangiare un boccone. Lame di luce filtrano tra le fronde, tutto il resto è in ombra.
Ci rimettiamo in cammino. Il cra cra dei legni spezzati continua e a volte dobbiamo aggirare il sentiero per l’intrico dei rami. A terra sono disseminati piccoli e grandi sassi. Avete mai visto quei mucchi di sassi che si trovano lungo i sentieri? Erano per la “posa”, per posare i carichi che avevano in spalla e riposarsi un po’.
Più avanti vedo qualche rudere, credo che si tratti di Ca’ Aberghin. Chi ci accompagna sa tutto di questi posti dove viene a cercare funghi e oggi magari si sente in castigo perché deve seguire solo il sentiero.
Ora si sale. Sento Gianni che sta chiacchierando e parla di Napoleone. Chissà se i soldati di Napoleone che nell’anno 1800 hanno combattuto non lontano da qui sono arrivati anche nella valle del Rosto … fatto sta che è uscito il ricordo di una trisnonna che li aveva visti e ne aveva paura … Eh già, avevano paura perché i soldati di Napoleone campavano di razzie. E Dio sa se i poveri abitanti del posto avevano bisogno di essere derubati del poco che c’era.
Ecco Ca’ Batun e, sorpresa, il fuoristrada della Croce Rossa. Che ci fa qui? A tutti viene chiesto se è gradito un passaggio. Intanto arrivano i militi in divisa rossa con la coda del gruppo e qualcuno approfitta dell’inaspettato aiuto per salire a bordo.
Il sentiero diventa una carrareccia che scende ad attraversare il guado in cemento sul Rosto e risale ripida. Sotto la strada passa l’acquedotto. Ci avviciniamo alla civiltà quando incontriamo una strada asfaltata e ci tuffiamo nuovamente nel passato per visitare Ca’ Iovina. Due case, abbandonate forse in tempi più recenti. Nella più grande una nicchia a volta con la cappelletta dove in qualche occasione veniva celebrata la messa. Entro e visito le stalle. Poi salgo la scala esterna in pietra e mi fermo sulla soglia: il pavimento in tavole di legno sembra precario.
Ho pregato tutto il giorno e non vorrei … commenta un addetto alla sicurezza.
Ma non è successo niente!
Non è successo niente perché ho pregato
Ormai siamo in dirittura di arrivo, attraversiamo un grande campo recintato che dopo l’ombra del bosco è un’esplosione di luce, raggiungiamo la Colla e poco dopo le 15,30 siamo in paese. Ci aspettano le frittelle preparate nel bel locale adiacente alla scuola di Acquabianca.
L’escursione è terminata, 11 i chilometri percorsi, 400 metri il dislivello, 4 ore di cammino effettivo.
Un grazie a tutti i volontari che si sono dati da fare e ci hanno regalato un’organizzazione super e una gita bella e interessante.
11 luglio 2014 - BRIC DENTINO, BRIC DEL DENTE e M. GIALLO dal Sambughetto (sella ovest del Geremia)
Gianni, Franca
Un’altra mezza gita in questo strano inizio di estate. A Vara questa mattina il cielo era terso e limpido tanto che siamo partiti di corsa sembrandoci un delitto restare a casa ma al Faiallo il nostro entusiasmo è stato gelato dalla vista del mare di nubi che copriva il versante marino.
Alle 8,45, alla sella tra il Geremia e il Monte Giallo, ci mettiamo in cammino sull’Alta Via in direzione ponente e subito incontriamo i primi caprioli. Quest’anno ne avevamo notato l’assenza e ci eravamo fatti l’idea che ce ne fossero meno, ma qui sul Monte Giallo ne avvistiamo parecchi. Sugli alti steli dell’erba le zecche, che vivono in simbiosi con i caprioli, saranno certamente in agguato nell’attesa di nuovi ospiti: abbiamo fatto male a mettere i calzoni corti. Sole e nebbia si alternano a ritmo serrato.
Tre quarti d’ora dopo siamo alla Sella del Barnè, di nuovo a un passo dalla provinciale, e prendiamo il sentiero del rombo giallo per Rossiglione. L’idea è quella di fare un anello intorno al Dente che ora contorniamo lungo le pendici nord-est. Due escursionisti ci superano in velocità e sono gli unici che incontreremo nel nostro giro.
Passiamo attraverso la Porta del Dente e Gianni, rovistando tra i ricordi dell’infanzia, scopre che era passato di lì la bellezza di 65 anni fa. Il sentiero poco dopo si congiunge con quello del triangolo giallo vuoto proveniente da Campoligure mentre una deviazione con il segnavia di tre pallini gialli porta al Bric del Dentino (o Saliera) che è la nostra prima meta (ore 10,30). La nebbia si disinteressa di questo cocuzzolo riparato dalle cime più alte e più vicine al mare e ci lascia godere il panorama su Acquabianca, Masone, Tobbio, Figne e Punta Martin.
Torniamo sui nostri passi e poi seguiamo il triangolo giallo vuoto per il Dente (ore 11,10). Nonostante sia luglio, grazie alle piogge e alla temperatura per niente estiva, l’erba è ancora verde. Sbuffi di vapore avvolgono il cippo e la croce trasparente e il mare si indovina soltanto.
Per paura di scivolare evitiamo la “diretta” e scegliamo il più lungo e dolce sentiero delle due crocette rosse per Fiorino che raggiunge l’Alta Via e ci accompagna fino alla Sella del Barnè. Ora dobbiamo risalire sul Monte Giallo e anche se mezzogiorno è passato decidiamo di toccarne la cima che si alza poco sopra il sentiero. Nessuna traccia tra l’erba alta. Ultima discesa con il Forte Geremia davanti a noi, i dirupi sula provinciale del Faiallo, qualche fugace schiarita sul mare. Alle 13 siamo di ritorno alla macchina. 7,5 chilometri lo sviluppo, 570 metri il dislivello tenuto conto dei saliscendi e poco più di 3 ore il cammino effettivo.
17 maggio 2014 - BRIC DEL DENTE da Fiorino
Stefano
In questo periodo sono un po’ pigro: ho voglia di camminare ma mi pesano i lunghi viaggi in macchina. Del resto, di fronte a casa mia, si snoda una fitta rete di itinerari escursionistici perfettamente segnati e le montagne del Parco del Beigua, sebbene non paragonabili alle cime alpine, offrono comunque scorci paesaggistici di tutto rispetto.
Un percorso molto caratteristico è quello che da Fiorino sale al Bric del Dente e che conduce in luoghi inaspettatamente aspri e solitari a pochi chilometri dalla città. Sono passati ben venticinque anni dall’ultima e unica volta che l’ho fatto: i ricordi sono un po’ vaghi ed è giunto il momento di rinfrescare la memoria.
Con la macchina risalgo da Voltri la stretta e incassata Val Cerusa fino al piccolo paese di Fiorino. Il vergognoso sfruttamento edilizio che ha fatto scempio delle colline genovesi qui non è mai arrivato: l’ambiente è ancora incontaminato e incredibilmente selvaggio.
A Fiorino, però, mi aspetta una brutta sorpresa: l’odiosa maccaja, eterna piaga della Liguria, fa beffardamente la sua comparsa dopo giorni di tramontana e di cielo pulito. Mi vien quasi voglia di tornarmene a casa! Poi il tempo fortunatamente si aggiusta grazie a un flebile refolo settentrionale in quota che contrasta l’ingresso dell’aria di mare: ma devo sbrigarmi perchè su questi monti il meteo cambia assai più velocemente che sul Cerro Torre!
Dal capolinea dell’autobus (m. 244) poco sotto la chiesa inizia il segnavia (due croci rosse). Una stradina asfaltata conduce alle Case Cascinotto (m. 300), dopodichè diventa sterrata. A un certo punto, sulla destra, si stacca una bella mulattiera che sale alle Case Ferriere di Sopra (m. 406). La mulattiera procede a mezzacosta nell’alta Valle del Cerusa in un contesto paesaggistico molto suggestivo: sembra di stare in una piccola vallata alpina.
Oltrepassata la diruta Casa Cava Grande e guadato un piccolo ruscello, il sentiero si inerpica assai ripido tra erba, massi e cespugli fino a raggiungere l’esile costone sud-orientale del Dente (Costa di Terra Sottile o Giassi del Dente). Dopo una secca svolta a destra, si segue più o meno fedelmente la cresta traversando dapprima sul fianco destro (est), poi sul più scosceso fianco sinistro (ovest): non vi sono difficoltà ma è un itinerario da non percorrere in caso di pioggia, erba bagnata o, peggio ancora, ghiaccio e neve.
Dopo un’ultima ripida rampa sbuco sulla strada provinciale del Faiallo che guasta un po’ la bellezza della salita. La percorro brevemente in discesa fino alla Sella del Barnè (m. 894) dove imbocco il sentiero (segnavia: due croci rossi e bandierine bianco-rosse dell’Alta Via) che risale a tornanti il versante orientale del Bric del Dente. Più in alto, una variante segnata con una tacca rossa permette di evitare l’aggiramento lato sud della montagna e di raggiungerne la vetta (m. 1107) con un percorso più logico e diretto. Batuffoli di maccaja salgono pigramente dal mare per poi sfilacciarsi sotto i raggi del sole.
Una volta esisteva un secondo itinerario Fiorino-Bric del Dente (segnavia: rombo rosso) che tagliava con uno spettacolare mezzacosta il versante opposto della valle e che raggiungeva la strada del Faiallo sul lungo rettilineo del Passo della Cerusa (m. 939): era perfetto per un’escursione ad anello. Purtroppo da anni è in stato di totale abbandono e attualmente è di difficile percorribilità per via della vegetazione.
Con una veloce discesa, coronata da un bel capitombolo nel finale, faccio ritorno alle case di Fiorino. E’ stata una bella gita: in questa piccola valle, così vicina alla grande città eppur così impervia e appartata, il tempo sembra un po’ essersi fermato.
14 aprile 2014 - BRIC DENTINO da Masone (ritorno a Tiglieto)
Stefano
A distanza di una settimana, altra bella traversata tra lo Stura e l’Orba: l’idea iniziale era quella di salire al Reixa da Masone per poi scendere a Vara Inferiore ma la fitta nebbia sullo spartiacque mi ha poi fatto dirottare verso la più soleggiata Tiglieto. Come la volta scorsa raggiungo Masone insieme ai miei genitori che stanno tornando a Genova.
Dal centro del paese salgo alla chiesa parrocchiale (m. 433), scendo al sottopasso dell’autostrada e seguo la stradina asfaltata che si inoltra nella valle del Rio Masone. Il tempo è ancora bello ma alcuni batuffoli a ridosso del crinale preannunciano un rapido peggioramento. Lascio sulla destra l’itinerario per la Cascata del Serpente e per il Bric Dentino (tre pallini gialli) e proseguo lungo la strada (due rombi vuoti gialli) che termina alla cascina di Pian del Colle (m. 616) adagiata in una verdissima conca ai margini del bosco. Da qui inizia una bella mulattiera che sale nella faggeta e che sbuca sulla provinciale del Faiallo presso la sella tra il Bric Geremia e il Monte Giallo (m. 780).
Svolto a destra e seguo l’Alta Via che si inerpica lungo il filo dello spartiacque tagliando poi il versante meridionale del Monte Giallo. La maccaja, che al primo mattino stagnava immobile nei bassi strati sopra Genova, si è sollevata come l’acqua in una pentolone in ebollizione: sul crinale grava una fitta nebbia accompagnata da fredde folate di vento. Non piove ma ugualmente ho tutti i vestiti bagnati.
Alla Sella del Barnè (m. 894) abbandono l’idea di salire al Reixa e scendere a Vara, prendo sulla destra il sentiero per la Colla di Masca (o Passo Fruia) e mi allontano il più in fretta possibile dal patagonico spartiacque. Con una breve deviazione salgo al Bric Dentino (o Bric della Saliera, m. 976) che si innalza sulla dorsale Stura-Orba. Qui il tempo è decisamente migliore: il vento è calato d’intensità e le nubi, dopo aver scaricato sul Dente tutto il loro carico di umidità, viaggiano alte e sfilacciate andandosi poi a dissolvere sopra le ultime propaggini dell’Appennino e l’inizio della pianura.
Dal Dentino proseguo fino alla Colla di Masca (o Passo Fruia, m. 821) dove imbocco la pista sterrata che conduce al Valico della Crocetta sopra Tiglieto. In località Morbetto (m. 830) svolto a sinistra su un sentiero non segnato che scende verso la Valle dell’Orba trasformandosi più in basso in pista forestale. A quota 530 sbuco sulla provinciale Acquabianca-Tiglieto nei pressi delle Case Matellona.
Breve risalita su asfalto fino alla Colla Minetti (m. 552), dopodichè sentiero segnato con il triangolo giallo che scende alle Case Gerla, guada un ruscello e procede a mezzacosta tra i prati verdissimi, i faggi e le antiche cascine. Oltrepassate le Case Reborina (m. 480), abbandono il triangolo giallo e mi riporto sulla provinciale ormai in vista della chiesa di Tiglieto (m. 500). Ancora pochi passi e faccio ritorno a casa, ben felice anche questa volta di non dover mettermi a guidare.
7 aprile 2014 - BRIC DEL DENTE da Masone (ritorno a Tiglieto)
Stefano
Stamattina i miei genitori tornano a Genova e io ne approfitto per farmi dare un passaggio fino a Masone. Scendo dall’auto a Villa Bagnara, faccio colazione in un bar e mi appresto a tornare a casa a Tiglieto passando per il Bric del Dente. Sono le 7.40 e il tempo è splendido: sulle sponde dello Stura l’aria è frizzante ma già si intuisce che in giornata si toccheranno tranquillamente i 20 gradi.
Sopra la chiesa parrocchiale (m. 433) imbocco Via Cascata del Serpente che passa dapprima sopra il Borgo Molino per poi scendere fino al sottopasso dell’autostrada. Superato il sottopasso, abbandono l’itinerario per la Cascina Troia e per il Bric Dentino (segnavia tre pallini gialli) e prendo sulla destra una stradina sterrata dalla quale si stacca subito un sentiero (segnavia due quadrati pieni gialli). In breve raggiungo alcune casette situate in splendida posizione su di un verde poggio panoramico (località Pianazzo, m. 547).
Poco sopra inizia una larga mulattiera che sale nella pineta con belle vedute sul versante nord del Dente. All’uscita del bosco mi accoglie un’amena radura punteggiata da pini nani e ornata da cespugli di Erica fiorita (Collina Badè, m. 785). Inizia ora un lungo tratto di sentiero a mezzacosta sul versante settentrionale del costone che si innalza tra il Rio Masca e il Rio Masone. Il sentiero raggiunge la dorsale di spartiacque Stura-Orba in corrispondenza della Colla di Masca (o Passo Fruia, m. 821), crocevia di antiche mulattiere e di piste forestali. I due quadrati gialli terminano qui: d’ora in avanti seguirò il triangolo vuoto giallo proveniente da Campoligure.
Un bel sentiero percorre con dolci saliscendi la sommità della dorsale in direzione sud, taglia le pendici orientali del Bric Dentino (o Bric della Saliera, m. 976) e attacca d’impeto le ripide rampe erbose del Dente: alle 10 in punto raggiungo il cippo di vetta (m. 1107) posto sul caratteristico spuntone roccioso a forma di dente che dà il nome alla montagna.
Per arrivare a Tiglieto scelgo il sentiero segnato con un triangolo pieno giallo. Abbandonata l’Alta Via, scendo tra i faggi nella valle del Rio Baracca, racchiusa tra il crinale Saliera-Dente-Costa della Cerusa e la dorsale dei Praioli. Guadato il Rio Baracca, seguo una pista forestale che procede a mezzacosta sul versante sinistro orografico della valle e che porta all’antico nucleo di case di Gattazzè (m. 702).
Sorto agli inizi del Settecento per volontà dei Marchesi Raggi, proprietari dell’Abbazia di Tiglieto e dei suoi possedimenti, venne edificato in posizione strategica lungo un’importante via del sale, del ferro e del legno. Sul finire dell’Ottocento, con la chiusura delle ferriere e con la nascita di nuove strade che prediligevano i fondovalle ai crinali, iniziò per Gattazzè un inesorabile declino. Oggi si trova in uno stato di totale abbandono e di estrema rovina: il bosco è avanzato inesorabile e ha invaso i prati che circondavano le case, il Palazzo di Caccia dei Raggi (andato a fuoco nel 1968) e la cappella circolare. Ventisette anni fa, quando son passato qui per l’ultima volta durante una gita al Dente da Acquabianca, ricordo che i ruderi e la cappella si trovavano ancora allo scoperto ai margini di un grande prato: in ventisette anni il bosco si è mangiato tutto.
Da Gattazzè seguo sempre il triangolo giallo fino al laghetto della Chiusa dove convergono il Rio Rosto e il Rio Baracca. Qui la situazione si complica perché devo effettuare due guadi consecutivi: il secondo guado si rivela molto difficoltoso e ne esco coi piedi un po’ bagnati.
In breve raggiungo la località Ferriera (m. 529) e poco dopo sbuco sulla strada provinciale Acquabianca-Tiglieto al confine tra le province di Genova e Savona. Percorro un chilometro di asfalto fino alla Colla Minetti (m. 552) e imbocco la mulattiera che scende tra i prati verdissimi fino alle Case Gerla. Attraverso ancora un piccolo ruscello e, dopo aver abbandonato il triangolo giallo che conduce al ponte di Badia, mi riporto sulla provinciale a due chilometri da Tiglieto (m. 500). Alle 12.20 faccio ritorno a casa giusto in tempo per mangiare: che bello, per una volta tanto, non dover salire in macchina e guidare!
4
settembre 2010 - BRIC DEL DENTE dal Passo del Faiallo
Stefano
e Chiara
Siamo
partiti dal Passo del Faiallo alle 13.30 ed abbiamo seguito il tracciato
dell'Alta Via che scende al Passo della Cerusa sulla strada provinciale.
Abbiamo constatato la grande maleducazione di alcuni fungaioli che
hanno tappezzato il bosco sotto il Faiallo di cartacce, fazzoletti,
sacchetti ed immondizia di ogni genere. Non tutti purtroppo conoscono
il rispetto per l'ambiente e per la montagna ed è una constatazione
che si rinnova ogni anno. C'è solo da augurarsi che i funghi
finiscano presto.
Dalla strada asfaltata abbiamo imboccato il sentiero dell’Alta
Via che risale la dorsale sud-occidentale del Dente ed in breve siamo
giunti in vetta.
Benchè la giornata non fosse limpida come quelle che l’avevano
preceduta, la vista dalla cima era comunque bella.
Al ritorno siamo scesi alla Sella del Barnè dove abbiamo preso
il sentiero segnato con un rombo giallo (diretto a Rossiglione) che
risale a mezzacosta il versante settentrionale del Dente, scavalca
la cresta nord alla Porta del Dente e raggiunge la dorsale Dente -
Bric Dentino poco a sud di quest'ultimo.
Infine, seguendo l'itinerario segnato con tre pallini gialli che percorre
a mezzacosta il versante nord-occidentale del Dente, siamo ritornati
sulla strada asfaltata al Passo della Cerusa e da qui in breve al
Faiallo.
31
agosto 2010 - BRIC DEL DENTE da Masone
Gianni
e Franca
Tempo
splendido e cielo limpido con tramontana. Ottima visibilità.
Partiti dalla Chiesa di Masone alle 10,05 abbiamo seguito i tre pallini
gialli che conducono al Bric Dentino o Bric della Saliera. Il percorso
segue il vallone del Rio Masone delimitato a sud-ovest dal massiccio
del Bric del Dente.
Dopo aver osservato i resti della cartiera Savoi fatta costruire nel
1600 dagli Spinola, abbiamo raggiunto la cascata del Serpente e l'omonimo
lago incassato nella roccia. Il sentiero prosegue e raggiunge la cascina
Troia, ora trasformata in rifugio, circondata da prati attrezzati
ad area pic-nic. A questo punto inizia il tratto più ripido,
uno stretto e tortuoso sentiero nel bosco di roveri che segue i tralicci
dell'energia elettrica fino al Colle della Saliera che abbiamo raggiunto
alle 10,30. Da qui abbiamo potuto ammirare il panorama sulla Valle
Stura da una parte e sul gruppo del Beigua dall'altra.
Seguendo la dorsale che divide la Valle Stura da quella dell'Orba
e lasciandoci alle spalle il Bric Dentino, alle 13,15 siamo arrivati
in cima al Dente dove abbiamo goduto di un bel panorama a 360°.
Dalle Apuane alla Palmaria, Elba, Capraia, Gorgone e Corsica. Dall'intero
arco alpino a tutto l'Appennino.
Alle 13,45 abbiamo iniziato la discesa prima seguendo le due croci
rosse e poi i segni dell'Alta Via con piacevoli saliscendi tra l'erica
fiorita fino al forte Geremia. Dal Geremia abbiamo seguito la sterrata
di servizio al forte che ci ha condotto attraverso il versante padano
alla Cappelletta di Masone (ore 16). Veloce discesa su strada asfaltata
fino al paese di Masone.
Agosto
1987 - M. DENTE da Campoligure per Vara Superiore
Gianni
Franca Stefano
Terrificante
camminata sotto il sole! Il percorso passa alle pendici del M. Pavaglione,
Saliera, M. Dente, Faiallo, Vara Superiore. Tanta fatica! Molto caldo.
Luglio
1987 - M. DENTE dall'Acquabianca
Gianni
Stefano
Gita
effettuata interamente nella nebbia. Non abbiamo visto niente! In
compenso abbiamo trovato quattro funghi.